Marta, detenuta in aeroporto a Londra e rimpatriata perché senza visto
Le sembrava la trama di un film: il controllo in aeroporto, le perquisizioni, l’isolamento in cella. Invece è quello che le è successo davvero: Marta Lomartire, pugliese, una neolaureata di 24 anni, che era volata a Londra per fare la ragazza alla pari a casa del cugino medico, è stata trattenuta all’aeroporto di Heathrow ed è finita in cella per una notte intera, prima di essere rispedita in Italia. La sua «colpa»? Avere dimenticato di munirsi di un visto per l’ingresso nel Regno Unito. È successo a diversi cittadini europei: circa una decina, secondo il Guardian.
Che cosa è successo?
«Una volta arrivata all’aeroporto di Heathrow, euforica e felice, intorno alle 18,30, ho presentato la documentazione che avevo preparato in base alle informazioni che avevo raccolto. Ma, a quanto pare, mancava un visto. E sono stata portata negli uffici della Border Force dell’aeroporto».
Le hanno spiegato perché la stavano trattenendo?
«In prima battuta ho parlato con un agente che sembrava scocciato dal fatto che non capissi bene tutto quello che diceva, poi ho incontrato altre guardie che mi hanno aiutato, parlando più lentamente. Ho anche chiesto un traduttore di Google».
Ha chiamato casa?
«Non subito: mi hanno tolto la valigia, che hanno perlustrato con molta attenzione, e la borsa. Mi hanno sottratto anche il cellulare. Sono poi riuscita a parlare con i miei genitori chiedendo di poter chiamare da un telefono pubblico, sotto la sorveglianza degli agenti dell’aeroporto. Sono stata perquisita tantissime volte, mi hanno preso le impronte digitali e fatto foto segnaletiche. E io, che prima pensavo che la situazione si potesse risolvere in breve, ho cominciato ad avere paura».
Poi?
«Mi hanno dato un telefono vecchio, con una Sim inglese che non permetteva di effettuare chiamate internazionali: l’ho usato per avvisare mio cugino. Sono rimasta negli uffici della Border Force fino alle 4 del mattino, in una stanza sorvegliata. C’erano dei materassini per coricarsi, ma io, che ero tesissima, sono rimasta seduta su una sedia. Poi una guardia mi ha detto che mi avrebbero portato in un centro di detenzione. Beh, loro l’hanno chiamato prigione».
Cosa è successo nel centro di detenzione?
«Mi hanno messo in una cella con tre letti, una finestrella con le sbarre e una porta blindata. Ho supplicato gli agenti di non chiudere la porta: soffro di claustrofobia, non ce l’avrei fatta a sopportare anche questo. E, per fortuna, sono stata ascoltata».
Ancora non aveva i suoi effetti personali?
«No: mi hanno dato delle lenzuola per dormire, ma non ci sarei mai riuscita. Il mattino successivo ho scoperto che c’erano altre ragazze bloccate per via del visto. Le ho incontrate in una stanza comune. Per uscire in giardino, invece, dovevamo essere scortate dalle guardie».
C’era anche una connazionale.
«Sì, una ragazza che era lì da quattro giorni, e che era davvero provata. È poi rientrata in Italia il giorno dopo di me».
Lei ha fatto ritorno a casa quel giorno.
«Sì, alle 15 sono ripartita dal centro di detenzione e il mio aereo è decollato alle 19».
Perché non aveva quel visto?
«Perché non sapevo che ce ne fosse bisogno. Avevo il passaporto, un esito di tampone negativo, il passenger locator forme e la prenotazione per due tamponi che avrei fatto una volta a Londra, il secondo e l’ottavo giorno di quarantena. Non avrei indugiato a procurami anche un altro documento, se avessi saputo che serviva».
Tornerà a Londra?
«Da una parte sono ancor traumatizzata, ma dall’altra vorrei tornare in Inghilterra perché non ho fatto nulla di male, e non posso accettare di essere trattata come una delinquente».