Batosta per Janša al referendum sull’acqua
Il governo conservatore aveva difeso la legge che allentava la tutela sui corpi idrici, ma alle urne i contrari vincono con l’86%
LUBIANA. Con oltre l’86% di voti contro e poco più del 13% a favore, la Legge sull’acqua è stata bocciata dai cittadini sloveni. La norma approvata a marzo dal governo conservatore di Janez Janša non può più entrare in vigore, ma più di tutto il referendum solleva il dibattito sulla tenuta del governo, con le opposizioni che ne chiedono le dimissioni.
Al referendum che si è tenuto domenica, organizzato dalle associazioni ambientaliste con il sostegno dei partiti di opposizione di sinistra, ha partecipato quasi il 46% degli elettori: un quorum sufficiente, stando alla legislazione slovena, per rendere vincolante il risultato del voto.
Per i promotori dell’iniziativa, si tratta di una vittoria netta, che trasmette un messaggio politico chiaro di sfiducia all’esecutivo. La pensa così la leader dei socialdemocratici Tanja Fajon che parla di «una grande insoddisfazione generale» e chiede le dimissioni di Janša. Per Luka Mesec (Levica), Marjan Šarec dell’omonima lista o ancora Jernej Pavlič del Partito Alenka Bratušek – tutti all’opposizione – sarebbe ora opportuno andare al voto anticipato, perché «questo governo non gode più della fiducia degli elettori».
Ma l’esecutivo di Janša minimizza. «Esiste un governo di sinistra che si sia dimesso dopo aver perso un referendum?», chiede retoricamente il premier su Twitter, prima di concludere chiedendo di non fare «nessun dramma», perché il governo non ha intenzione di mollare. Dello stesso avviso anche il ministro dell’Ambiente Andrej Vizjak, strenuo difensore della riforma. «Peccato che l’acqua venga strumentalizzata a fini politici», ha dichiarato Vizjak.
Su cosa si è votato esattamente domenica in Slovenia? La normativa approvata a marzo andava a riformare la Legge sull’acqua, che dal 2002 tutela i corpi idrici del paese. Due, in particolare, erano i punti della riforma che più avevano suscitato l’opposizione degli ambientalisti: l’autorizzazione a industrie e agricoltori per l’utilizzo di sostanze pericolose anche a ridosso dei fiumi (una norma poi ritirata dallo stesso governo) e la possibilità di costruire vicino a fiumi, laghi e a pochi metri dalla costa «strutture semplici» e «ad uso pubblico». In questa definizione, rientravano tuttavia bar, hotel, serre, manifesti pubblicitari e stazioni di servizio. Insomma, per gli attivisti la norma avrebbe aperto la strada a un far west edilizio in aree molto sensibili del paese e legate a un tema molto caro agli abitanti: l’acqua. In Slovenia, infatti, una campagna di successo aveva già portato nel 2016 all’inserimento nella Costituzione di un articolo che protegge il diritto all’acqua pubblica, un caso unico in Europa.
Ecco che, anche questa volta, la campagna «Za Pitno Vodo» (Per l’acqua potabile) – portata avanti da diverse Ong tra cui Greenpeace e Eko Grog – è riuscita nel suo intento. Prima sono state raccolte 50 mila firme in due mesi, costringendo il governo a organizzare un referendum sulla legge, poi è arrivata la vittoria alle urne. Gli attivisti accusavano l’esecutivo di aver inserito gli emendamenti più controversi all’ultimo minuto, dopo la chiusura delle due settimane di dibattito pubblico sulla legge. Ma ora, di fronte al risultato schiacciante, il governo Janša dovrà ricominciare da zero