Regeni, vertice flop: il silenzio del Cairo e la rabbia della famiglia
Nulla di fatto, ancora una volta, per garantire giustizia e verità a Giulio Regeni. Anzi, non solo durante l’incontro tra il procuratore generale del Cairo, Hamada Elsawi, e il procuratore capo di Roma Michele Prestipino insieme al sostituto Sergio Colaiocco non sono arrivate le risposte alla rogatoria italiana, dopo più di quattordici mesi. Ma ci sono state domande «investigative» da parte dei pm egiziani sulla motivazione della presenza del ricercatore friulano in Egitto, «per meglio delineare la sua attività».
Dopo quattro anni di attesa, dalla morte di loro figlio, i genitori di Giulio Regeni non vogliono più aspettare. Sono delusi. «A leggere il comunicato della procura di Roma è evidente che l’incontro virtuale di oggi con la procura egiziana è stato fallimentare», hanno spiegato in una nota Paola e Claudio Regeni, insieme con il loro avvocato Alessandra Ballerini.
«Gli egiziani non hanno fornito una sola risposta alla rogatoria italiana sebbene siano passati ormai 14 mesi dalle richieste dei nostri magistrati. E addirittura si sono permessi di formulare istanze investigative sull’attività di Giulio in Egitto. Istanze che oggi, dopo quattro anni e mezzo dalla sua uccisione, senza che nessuna indagine sugli assassini e sui loro mandanti sia stata seriamente svolta al Cairo, suona offensiva e provocatoria. Nonostante le continue promesse non c’è stata da parte egiziana nessuna reale collaborazione. Solo depistaggi, silenzi, bugie ed estenuanti rinvii».
Solo poche settimane fa, nella sua audizione davanti alla commissione d’inchiesta, il premier Giuseppe Conte aveva assicurato il massimo impegno e la collaborazione egiziana, in seguito alla richiesta di chiarimenti arrivata anche dopo la vendita delle due fregate militari all’Egitto.
«Il tempo della pazienza e della fiducia è ormai scaduto», concludono i genitori di Giulio Regeni. «Chi sosteneva che la migliore strategia nei confronti degli egiziani per ottenere verità fosse quella della condiscendenza, chi pensava che fare affari, vendere armi e navi di guerra, stringere mani e guardare negli occhi gli interlocutori egiziani fosse funzionale ad ottenere collaborazione giudiziaria, oggi sa di aver fallito. Richiamare l’ambasciatore oggi è l’unica strada percorribile. Non solo per ottenere giustizia per Giulio e tutti gli altri Giulio, ma per salvare la dignità del nostro Paese e di chi lo governa».
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