Aborto farmacologico negato, le donne tornano in piazza per i loro diritti
Il caso Umbria, la negazione dell’aborto farmacologico in day hospital, è quello che ha fatto più rumore, ma sono molti diritti delle donne a essere messi a rischio, in particolare dopo la pandemia. Pro-choice RICA, Rete italiana contraccezione e aborto, chiede per le donne l’accesso ai servizi medici che garantiscono l’aborto farmacologico e di reintrodurre i contraccettivi in Fascia A, cioè fra i farmaci essenziali e gratuiti.
Sono 80mila le firme raccolte con la petizione per la contraccezione gratuita e responsabile, per «sollecitare le istituzioni preposte a prendere provvedimenti per tutelare e garantire i diritti sessuali e riproduttivi».
Per le associazioni che scendono in piazza, «garantire l’accesso all’aborto farmacologico e alla contraccezione significa garantire l’accesso ai diritti e alla salute sessuale e riproduttiva e, allo stesso tempo, significa combattere le disuguaglianze e le discriminazioni sociali, economiche e geografiche a cui le donne sono spesso soggette».
Sono anche passati più di quarant’anni dalle prime manifestazioni per ottenere questi diritti che ora sono a rischio. La legge 194 è del 1978, ma, secondo le stime, ci sono 10mila donne all’anno che rischiano la vita per un aborto illegale. Più del 70 per cento dei medici e sanitari è obiettore di coscienza e dunque rifiuta di praticare l’interruzione di gravidanza.
La pillola RU486 per l’interruzione di gravidanza farmacologica è usata appena per il 20% dei casi. Nei paesi del Nord Europa la percentuale è del 90%. In Umbria è stato negato il diritto ad averlo in day hospital, obbligando a tre giorni di ricovero, quando all’estero è pratica ambulatoriale. Anche per l’interruzione di gravidanza chirurgica non ci sono più i giorni di ricovero, circostanza che rende ancora più illogica la scelta di inserirli per l’aborto farmacologico.
Le associazioni contestano la scelta perché impone alle donne una maggiore sofferenza. Va in direzione opposta la scelta della Toscana che ha approvato una delibera per permettere di somministrare il farmaco anche in strutture territoriali, ambulatori, consultori. Ha spiegato il presidente Rossi: «Inutile far soffrire di più le donne che affrontano l’interruzione di gravidanza».
Sulla decisione della governatrice leghista dell’Umbria Donatella Tesei il ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto un parere al Consiglio superiore di Sanità. L’obiettivo è avere nuove linee guida nazionali per l’aborto farmacologico in day hospital e in ambulatorio senza bisogno di ricovero. La sottosegreteria alla Salute Sandra Zampa ha spiegato che la legge è ancora sotto attacco. «Siamo un paese che evidentemente non ha ancora digerito, metabolizzato la 194 sull’interruzione di gravidanza, e così alla prima occasione si cerca di rimettere tutto in discussione. E sempre sulla pelle delle donne, dimenticando il dolore, la difficoltà di una scelta comunque difficile e sofferta».