Marco Bellocchio sale in cattedra: la «lectio» del regista allo Iulm
Quando gli altoparlanti hanno chiamato il silenzio, il chiacchiericcio dell’Auditorium numero 6, allo Iulm, si è spento. Gli studenti, frettolosi, hanno fatto ritorno alle proprie poltrone, la cui stoffa verde giaceva sepolta sotto giacche e cappellini. Le luci si sono abbassate e la commissione di laurea, con la toga d’ordinanza, nera e azzurra, ha fatto capolino in sala. Poi, è arrivato Marco Bellocchio, eterno studente del mondo circostante. «Quand’ero ragazzo», ha raccontato, «Ho abbandonato i fumetti e il disegno per iscrivermi al corso di recitazione del Centro Sperimentale di Cinematografia, a Roma. Mi sono diplomato con 25/30, a conferma della mia mediocrità scolastica», ha riso il regista, dicendosi commosso del calore che i colleghi e gli amici gli hanno tributato lunedì mattina. Quando, allo Iulm, si è deciso di assegnargli una Laurea Magistrale honoris causa in Televisione, Cinema e New Media. «Mi riscatta», ha detto ancora Bellocchio, scelto tra i grandi per meriti che del cinema trascendono i confini.
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«Il traditore» di Marco Bellocchio è il film scelto dall'Italia per la corsa agli Oscar 2020Al regista, il cui ultimo film, Il Traditore, si è aggiudicato la prima edizione del premio Elio Petri, è stata conferita la laurea per i motivi più vari. Nell’elegia che ha segnato l’inizio della cerimonia, si è sottolineata l’intenzione morale di Bellocchio, la capacità di «interrogare il nostro tempo senza assumerne mai le parole d’ordine», se ne è ricordato l’impegno politico e la libertà, celebrati i primi cinquant’anni di attività. «Bellocchio», si è detto infine, «Ha dimostrato grande fiducia nel ruolo culturale del cinema», e all’uomo che, negli anni, ha saputo raccontare il potere e la rivoluzione, l’autorità politica e quella criminale, si è consegnata la pergamena.
Poi, è cominciata la lezione di Marco Bellocchio, una lezione schietta, nel corso della quale il regista ha raccontato se stesso e il proprio lavoro. Anche quello nuovo che, nei mesi a venire, lo porterà a debuttare in televisione. «Mi piace il ribaltamento di campo», ha spiegato Bellocchio, «Per questo, sento di dover fare una serie televisiva su Aldo Moro: con Buongiorno, notte siamo stati dentro la prigione, con Esterno, notte andiamo fuori». Per scandagliare, ciascuno in un episodio, i personaggi che affascinano il regista: «Cossiga e Paolo VI».
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Golden Globe 2020: tutte le nomination (e la delusione di «Game of Thrones»)Protagonista della serie tv, prodotta dalla Rai, sarà Pierfrancesco Favino, mentre la serie, nella quale due episodi saranno dedicati ai «brigatisti esterni e alla famiglia», si concluderà «con la tragedia che tutti sappiamo». «All’epoca del film, una parte della sinistra odiava Moro. Un politico, del quale non farò il nome, mi disse che era una carogna. Se in America mi hanno ringraziato per il lavoro fatto, in Italia c’è stato chi ha detestato non me, ma la mia pellicola».
Bellocchio, allo Iulm, ha raccontato il nuovo ed è tornato al vecchio, con sincerità e schiettezza. «Lou Castel non era adatto ad interpretare Gli occhi, la bocca», ha detto, ricordando la morte per suicidio di suo fratello e accennando appena a L’Urlo, film autobiografico al quale sta lavorando. «Sarà una rappresentazione più personale di quella tragedia. All’epoca, non ero libero di raccontare, mia madre era ancora viva. Gli occhi, la bocca, per me, rappresenta il senso di limitazione».