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Сентябрь
2019

Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»

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La campionessa azzurra, in partenza per i Mondiali di atletica a Doha dove correrà la maratona, sottolinea l'importanza di questo momento che «fa parte dell'allenamento e della vita di ogni atleta». L'abbiamo incontrata a Parigi all'evento che Nike ha voluto dedicare a Joyride, scarpa con una particolare tecnologia di ammortizzazione progettata appositamente per la fase di recupero
Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»
Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»
Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»
Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»
Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»
Sara Dossena: «Il recupero? Non va mai sottovalutato»

«Troppo spesso il momento del recupero, che fa parte dell’allenamento e quindi della vita di un atleta, viene sottovalutato». A parlare così è Sara Dossena, 34 anni, campionessa italiana nei dieci mila in pista e su strada, triathleta, maratoneta (suo miglior tempo 2 ore e 24 minuti precisi a Nagoya è la terza in Italia dopo Valeria Straneo e Maura Viceconte). L’abbiamo incontrata a Parigi, all’evento che Nike ha voluto dedicare alle nuove nate Joyride, scarpe che il brand ha appositamente progettato per recuperare correndo.

Proprio così, avete letto bene: recuperare correndo. Non è un ossimoro. Perché recuperare non significa stare fermi sdraiati sul divano in attesa che un’entità superiore (ri)dia forza e vigore a gambe provate da una gara o (più semplicemente) da un allenamento. Recuperare significa imparare a dosare gli allenamenti (nei tempi e nella tipologia) alternandoli a momenti di (puro) relax. Non una perdita di tempo (come qualcuno potrebbe pensare), ma un passo indispensabile per l’ottimizzazione del carico di lavoro e per il miglioramento della prestazione. Insomma, un atto necessario (e dovuto) al benessere, sia fisico che mentale.

Se poi questo processo di recupero può essere agevolato da un paio di scarpe, ancora meglio. Come le Joyride di Nike, che grazie a una particolare tecnologia costituita da migliaia di micro-sfere distribuite lungo tutta l’intersuola – e che si spostano in base al tipo di piede, al  peso e al passo di chi le indossa – creano una sorta di ammortizzazione personalizzata che simula una corsa su un terreno morbido. Il risultato? Gli impatti con il suolo e l’affaticamento delle gambe vengono notevolmente ridotti, consentendo una perfetta rigenerazione muscolare. 

Continua a leggere dopo la gallery.

Nike Joyride, è tempo di recupero
Nike Joyride, è tempo di recupero
Nike Joyride, è tempo di recupero
Nike Joyride, è tempo di recupero
Nike Joyride, è tempo di recupero
Nike Joyride, è tempo di recupero

«Nei miei 10 anni di esperienza ho imparato che il recupero è un momento molto importante, necessario anche per prevenire eventuali infortuni. Non ci si deve lasciare prendere dai sensi di colpa, dall’estremo senso del dovere che ci porta a spingere sull’acceleratore senza fermarci mai. Questo non è il modo giusto per andare avanti. Dobbiamo ascoltare e rispettare il nostro corpo: se ci chiede di fermarci lo dobbiamo fare», prosegue Dossena, che tra una manciata di settimane partirà per Doha dove si disputeranno i Campionati Mondiali di atletica e dove correrà la maratona.

Un pronostico?
«Sarà una maratona piuttosto particolare, a causa del caldo correremo a mezzanotte. Fare una previsione su come andrà è difficile, ma sicuramente darò tutta me stessa e cercherò di correrla da protagonista».

Sara, facciamo un passo indietro e partiamo dall’inizio: quando ha capito che la corsa sarebbe diventata il suo futuro?
«Prima di trovare la mia strada c’è voluto un po’ di tempo. Nasco da una famiglia di non sportivi. I miei genitori, convinti che per una ragazzina stare in compagnia fosse una cosa bella, hanno cercato di indirizzarmi verso uno sport di squadra. Ma stare con gli altri non mi interessava! In realtà ho sempre voluto fare uno sport di fatica e a 18 anni mi sono avvicinata all’atletica. Ed è stato amore a prima vista».

Per un breve periodo, però, ha tradito la corsa con il triathlon…
«È stata più che altro una necessità! Dopo una serie di problemi fisici ho dovuto rallentare: passavo più tempo a riprendermi da infortuni che ad allenarmi. Mi sono avvicinata al triathlon per sopperire alla carenza di “corsa” durante questo periodo. Questa disciplina mi è servita sia dal punto di vista fisico che mentale per recuperare. Grazie al triathlon ho imparato a nuotare molto bene e, ancora oggi, uso il nuoto come metodo di allenamento. Lo pratico quotidianamente per evitare di percorrere troppi chilometri di corsa, è un allenamento aerobico, ma anche di scarico. Una sorta di potenziamento generale, che mi permette di allenare muscoli che con la corsa non uso».

Non ha un po’ di nostalgia?
«Anche no! (ride). Il mio cuore è legato indissolubilmente all’atletica».

Cosa significa per lei correre?
«La corsa è la mia passione, la mia vita. Ho la fortuna di correre per lavoro, sono una persona estremamente fortunata. Quando corro mi sento bene, se dovessi pensare alla mia vita senza corsa, indipendentemente dal fatto che ora è anche la mia professione, mi sentirei davvero persa. Cosa potrei fare d’altro?  Senza corsa non ci so stare. Un piano B non è mai stato preventivato!».

La maratona è molto impegnativa, sono 42,195 chilometri.  Come gestisce la fatica, ma anche il dolore?
«Credo che sia tratti di una fatica più fisica che mentale. Ho sentito di atleti ai quali, mentre correvano una maratona, si è “spenta la luce”, sono andati in crisi e si sono bloccati. Fortunatamente io non ho mai avuto questo problema, sono sempre stata bene, non sono mai arrivata al punto di dovermi fermare perché “non ce la faccio più”. Ma la gara regina, anche se si è ben allenati e si sa di essere preparati, fa sempre paura. È indubbiamente una gara faticosa, ma lo sono anche distanze più corte. È più la paura di provare fatica, che la fatica stessa. Si ha paura di soffrire».

Qual è la parte di allenamento che le piace di meno e quella che, invece, preferisce?
«Da buona maratoneta odio le ripetute corte, i lavori in pista, quelli veloci dove mi si impone un determinato ritmo. Amo i lavori “a sensazione” o a ritmo variabile, ma senza obblighi. Una volta a settimana, soprattutto in questo periodo che sto preparando la maratona di Doha, percorro lunghe distanze che, anche se mi portano via molto tempo, non mi pesano per niente. Preferisco mille volte fare due ore di corsa con variazioni piuttosto che dieci volte i mille metri!».

A cosa pensa quando corre questi lunghi?
«A tutto e a niente, la mente viaggia. Se si corre con piacere il tempo vola. Ecco, quando sono alle prese con le ripetute, invece, nella mia mente parte il contro alla rovescia! (ride)».

Il suo allenamento: quanto è rigoroso?
«Il rigore è fondamentale. Nulla deve essere lasciato al caso, è necessario rispettare sempre tempi, momenti e recuperi. Soprattutto quando ci si sta preparando per una maratona non si può saltare nessun allenamento».

Quindi non sgarra mai?
«Quasi mai. Mi fermo solo se non sto bene fisicamente, ma questo non lo considero uno sgarro».

Che qualità deve possedere la perfetta scarpa da corsa?
«Durante l’allenamento deve essere confortevole, comoda e protettiva, soprattutto per chi, come me, corre tanti chilometri. In gara, invece, serve una scarpa più performante. In generale, però, ogni piede ha le proprie caratteristiche, e ognuno deve indossare la scarpa più adatta alle proprie esigenze. Io, per esempio, sulle lunghe distanze uso le Vomero di Nike, alle quali ho aggiunto un plantare realizzato su misura per me».

Nike ha presentato il modello Joyride. Quale è, dal su punto di vista, il valore aggiunto di queste scarpe?
«Sono estremamente comode e soffici, molto morbide. Durante una corsa leggera, riducono l’affaticamento delle gambe e mi garantiscono un recupero ottimale».

Come recupera fisico e mente?
«Dal punto di vista fisico recupero con attività alternative alla corsa: nuoto, massaggi, stretching ed esercizi di stability, che prevengono infortuni e migliorano la performance. Recuperare mentalmente per me vuol dire fare ciò che si vuole. Che sia ascoltare musica o passeggiare, vedere un film o leggere un libro. Insomma, dedicarsi a ciò che ci fa stare bene senza imposizioni. Godersi la libertà di quei momenti. Troppi atleti sottovalutano il momento del recupero. Ascoltare e prendersi cura del proprio corpo è fondamentale».

La sua carriera è costellata da tanti successi, ma anche da molti infortuni. Come ci si rialza?
«Se uno ama quello che fa e ha la passione, un modo lo trova. Anche io, durante i diversi infortuni, ho avuto pensieri negativi, volevo mollare. Ma alla fine ha vinto l’amore per questo sport che mi ha dato la grinta per rialzarmi e ripartire».

Perché amo i giorni di recupero ? Perché significa che ho lavorato e fatto fatica

Sara Dossena

Ricorda la sua prima vittoria importante?
«Ricordo i primi allenamenti e la voglia di fare che avevo».

Il momento della sua carriera che ricorda con più piacere?
«Lo sto vivendo ora. Questo è un periodo in cui sto ottenendo quello per cui ho lavorato duramente in questi anni. Cerco di viverlo nel modo migliore e di farlo durare il più possibile».

La sua gara migliore?
«La devo ancora fare».

Il suo più grande rimpianto?
«No ne ho. Tutto quello che di negativo ho vissuto mi è servito per essere la persona che sono adesso. Le cose negative aiutano a migliorare e a migliorarsi».

La maratona o la città preferita per correre una maratona?
«Sicuramente quella di New York, che è stata la mia prima maratona. Al di là del mio risultato finale (correva l’anno 2017 e Sara si è aggiudicata un ottimo sesto posto, ndr), è stato bellissimo. Il contesto, l’atmosfera, le persone. New York è pazzesca».

Qual è il suo tallone di Achille e quale, invece, il suo punto di forza?
«La determinazione, in entrambi i casi. Punto debole perché, soprattutto in passato, l’eccessiva determinazione ha fatto in modo che io chiedessi troppo al mio corpo. Punto di forza, invece, perché mi è stata fondamentale per rialzarmi dopo un infortunio. Con gli anni ho imparato a gestire meglio questa mia caratteristica».

Quando smetterà di correre per cosa vorrebbe essere ricordata?
«Per essere stata un esempio positivo da seguire, non tanto per i mie risultati, ma per la passione e determinazione che in ogni gara».

Il complimento più bello che ha ricevuto?
«“Grazie a te ho trovato la forza per uscire a correre”. Essere di ispirazione, soprattutto per più giovani, è una cosa meravigliosa!».






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