Seconda ondata e adolescenti: «Paura di rivivere lo stesso l’incubo»
«Questo momento era prevedibile. Tutti abbiamo vissuto le vacanze estive quasi serenamente, ma sapevamo che qualche mese dopo avremmo dovuto fare di nuovo i conti con l’aumento dei contagi». Giulia ha 17 anni ed è nata a a Codogno. È stata tra le prime adolescenti in Italia a raccontare lo scoppio dell’epidemia lo scorso febbraio, quando si registrava il primo caso di Covid-19 e la notizia ha iniziato a girare ovunque. Così Codogno è diventato l’epicentro dell’epidemia in Italia e quello che è successo nei mesi successivi lo ricordiamo. C0sì bene, che la seconda ondata di contagi arrivata in questi giorni, proprio com’era stato previsto, ha catapultato Giulia (insieme a tutti noi) ai primi giorni di marzo scorso.
«La scuola è stata fino all’ultimo un punto di domanda: dopo alcuni mesi in didattica a distanza finalmente siamo potuti tornare in classe, e adesso, dato l’aggravarsi della situazione, siamo ancora al punto di partenza», ci racconta su whatsapp. «Personalmente penso che la scuola in presenza sia insostituibile e per questo credo che per evitare il ritorno alle lezioni online si sarebbe dovuto pensare ad una soluzione per i mezzi di trasporto, che rappresentano la causa principale della chiusura degli istituti. Spero che la situazione migliori e soprattutto spero di poter tornare in classe a breve».
Come si sente, Giulia lo racconta ogni giorno su Twitter. «Ci sono state molte cose che mi hanno colpita ieri mattina a scuola, partendo dall’orario delle lezioni in cui ho avuto scienze alla prima ora e spagnolo all’ultima, esattamente come il 21 febbraio, passando al nastro adesivo attaccato ad una porta di un’aula già chiusa chissà per quanto», ha scritto sui social lo scorso 25 ottobre, per lei ultimo giorno di didattica in presenza. «Al saluto alla bidella del mio piano a cui mi mancherà dare il buongiorno ogni mattina, alle facce tristi dei miei compagni e a quelle preoccupate dei professori. Tornata a casa ho pianto per tre ore di fila e dopo non sentivo più niente, se non un vuoto che è ancora qui. Essere consapevole di quello che succederà non mi ha aiutata. È stato mille volte peggio del 21 febbraio.». E aggiunge: «Sono preoccupata, come tutti. Sono anche spaventata perché avendone già vissuta una sappiamo tutti a cosa dobbiamo prepararci per le prossime settimane».
Laura, che ha 16 anni e vive a Bologna, più che preoccupata è annoiata. A lei mancano gli allenamenti di ginnastica artistica, le bambine del primo anno che ha appena iniziato ad allenare in palestra e gli amici. «Sono loro che mi mancano di più. Si parla tanto dei giovani e dell’adolescenza, ma a me la mia non sembra nemmeno iniziata». Colpa della pandemia, che per dirla con le parole di Laura, «è arrivata sul più bello, quando avevo da poco compiuto 16 anni e iniziavo ad avere più libertà dai miei genitori. Le prime uscite in pizzeria il sabato sera e la discoteca la domenica pomeriggio». In mezzo c’è stata l’estate. «E avevo pensato che forse sarebbe tornata la normalità, non vedevo l’ora di rientrare in classe con i miei compagni e invece adesso sono di nuovo a casa, davanti al computer».
A Roma, Edoardo, ventenne appena iscritto all’università, si sente come in una bolla che sta per scoppiare. «Questa è una fase molto difficile da vivere e che accende soprattutto una serie di sentimenti di rabbia e di delusione, perché non c’è un reale soggetto con cui prendersela o qualcuno a cui attribuire la colpa di quello che sta succedendo, è solo una rabbia frustrante nei confronti della situazione nel mondo». Ed è la libertà la mancanza più pesante. «Ci si sente proprio privati di uscire, vedere le persone, banalmente divertirsi. C’è stato molto tempo per sviluppare programmi di ogni tipo ma tutta questa teoria è rimasta nell’aria. C’è stanchezza e insofferenza nei confronti di quella che sembra essere, anche dal punto di vista politico, una situazione che non cura almeno la parte psicologica di chi la sta subendo in prima persona, come gli studenti con le lezioni a distanza, le mascherine, il non poter vedere gli amici, non uscire la sera». Un condizione sospesa che continuerà ancora alcuni mesi e che Giulia e i suoi coetanei non smetteranno di raccontare, anche e soprattutto sui social. «Perché qui siamo di nuovo uniti», racconta Laura. «Certo, non è la stessa cosa ma almeno posso vedere le mie amiche e immaginare di essere seduta su quella panchina in piazza dove ho trascorso l’estate. E sto bene».
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