“Noi genitori di figli con disabilità invecchiamo e loro diventano invisibili”. “Chi si prenderà cura di loro dopo di noi?”
La legge Dopo di noi prevede strumenti importanti, ma è sottofinanziata e diverse criticità a livello locale impediscono addirittura che i fondi vengano spesi in modo corretto. La norma ha come obiettivo quello di garantire alle persone con disabilità grave che necessitano di assistenza continua e permanente la possibilità di vivere in modo indipendente e dignitoso anche dopo la scomparsa dei loro familiari. Tra le varie cose, la legge prevede che le famiglie delle persone disabili possano stipulare accordi di affidamento fiduciario con enti no-profit o cooperative sociali, creare fondazioni che si occuperanno di gestire i beni e le risorse della persona con disabilità e di garantirne l’assistenza e la cura. Alcuni genitori caregiver raccontano a ilfattoquotidiano.it timori, angosce e preoccupazioni.
“Ogni giorno lottiamo per cose basiche”
Jessica Magatti è madre di tre bambini, uno dei quali si chiama Edoardo e ha una grave disabilità. Ha scritto, insieme ad altre mamme, un libro intitolato “Con il sole nella tempesta” per sfatare pregiudizi e creare empatia. “Ogni giorno ci troviamo a lottare per i suoi diritti, a pretendere cose basiche che dovrebbero essere riconosciute senza nemmeno dover chiedere, a impegnare tutte le nostre energie per garantirgli una vita piena e felice. Senza di noi chi lo farebbe al posto nostro? Nessuno, pensavo!”, dice Magatti. E via tutta una serie di preoccupazioni e valutazioni negative che, almeno una volta, hanno coinvolto tutti i genitori caregiver con figli disabili non autosufficienti. “Pensavo”, aggiunge, “che Edoardo finirebbe nell’ipotesi migliore in un centro per persone con disabilità senza un rapporto uno a uno e senza poter avere i giusti stimoli, le cure adeguate e senza poter fare tutte le esperienze possibili che solo una famiglia può garantirgli nel quotidiano”. Poi sono arrivati i fratelli di Edoardo, Samuele e Tommaso. “La mia idea è un po’ cambiata con la nascita degli altri due miei figli che ovviamente non sono stati concepiti per potersi in un futuro sostituire a noi, ma spero di riuscire a insegnar loro l’importanza di esserci sempre l’uno per l’altro”, racconta Magatti. “Sempre con la libertà di decidere in che modo e in che misura esserci”. La famiglia come fulcro ma non solo. Magatti per dare valore a idee e proposte ha fondato l’Associazione Espera e “il pensiero del Dopo di noi è diventato sicuramente meno negativo”, organizzando iniziative e sviluppando progetti condivisi anche con altre famiglie che si trovano in condizioni simili. “Nel 2021 siamo partiti da un’esigenza del qui ed ora, ossia garantire a lui e ad altri bambini quelle ore infermieristiche e riabilitative che il Sistema sanitario nazionale non offre a sufficienza”, afferma la mamma di Edoardo. “Ad oggi Espera è molto di più perché è una rete di famiglie, professionisti e persone che ci e gli vogliono un bene immenso e spero che un domani, tutto questo che stiamo costruendo possa per lui essere una garanzia per continuare ad avere quella vita felice e di qualità che cerchiamo di dar lui ogni giorno. Tutto questo non toglie la paura del “dopo di noi” ma di certo un po’ la allevia”.
“Fondamentale pianificare il prima possibile il Dopo di noi”
Pensare alla vita del proprio figlio con gravi disabilità quando sarà senza entrambi i genitori è qualcosa di molto difficile e durissimo soprattutto per i diretti interessati. Ma farlo sin nei primi anni di vita può fare la differenza, in particolare per la qualità di vita della persona che vive condizioni di estrema fragilità. E farlo confrontandosi con le altre famiglie che magari hanno vissuto dinamiche simili anni prima. Questa è la testimonianza di Gabriele Belloni, il papà di Edoardo, marito di Jessica. Nonostante tutte le difficoltà, sottolinea alcuni spunti ‘meno dolorosi’ della questione Dopo di noi. “La vita di un caregiver è tosta. c’è chi se la vive bene, chi se la vive peggio, ma in ogni caso è tosta”, spiega. “Perchè sai che ti dovrai prendere cura di qualcuno per sempre. E’ questo che lo rende ancora più impegnativo, è un percorso senza fine, per sempre.” La realtà poi è diversa: è che il “per sempre” in realtà è un “finchè sarò vivo”. “Quando te ne rendi conto si apre un nuovo pensiero ancor più tagliente”, dice Gabriele, “chi farà tutto questo al posto mio?” si è chiesto tante volte. “Ma davvero il presente del caregiver è talmente impegnativo e ti assorbe in modo così totale che il pensiero sul “dopo di me” spesso si presenta alla porta nel momento in cui è ormai urgente, inevitabile, ingestibile. Invece – precisa – prendere consapevolezza con largo anticipo è una fortuna, un dono, e ti dà l’opportunità di iniziare a pianificare ed a costruire il “dopo di noi” con largo anticipo”. Come spesso accade la condivisione e la rete associativa di rapporti che si creano è fondamentale. “Si viene a conoscenza di questo tema da altre famiglie, dall’avvocato che ti sta seguendo per altri motivi, da un post sui social. E’ importante parlarne, informare, condividere”, conclude Belloni.
“Per molte famiglie il supporto pubblico è del tutto assente”
Carenza di sostegni, risorse e certezze. È quello che denunciano al Fatto.it Marika Musella e Luca Ruozi, genitori di Alex. “I servizi sono pochi, i percorsi complessi, i tempi incompatibili con la vita reale dei nostri figli. Il Dopo di noi non è solo una questione futura, non riguarda soltanto il giorno in cui non ci saremo più. Il Dopo di noi è ciò che ci permette di vivere il presente”, sottolineano. “È la possibilità di andare a dormire la sera con meno paura. È la speranza che esista un mondo pronto ad accogliere la diversità, a riconoscerla come valore, a garantire dignità, sicurezza e appartenenza. Oggi, invece, quel mondo non è pronto. E mentre si parla, si discute, si annunciano progetti, noi genitori invecchiamo e i nostri figli diventano adulti invisibili”. La paura più grande per i caregiver familiari conviventi è silenziosa e quotidiana: cosa succederà quando non avranno più voce per difenderli, quando non saranno più loro a spiegare chi sono, cosa amano, di cosa hanno bisogno. “Così il Dopo di noi diventa una responsabilità privata, costruita con forza, grinta e sacrificio dalle famiglie”, affermano, “mettiamo insieme risorse economiche, energie emotive, competenze che nessuno ci ha insegnato. Non perché vogliamo sostituirci alle istituzioni (spesso assenti, ndr) ma perché non possiamo permetterci di aspettare. Lo facciamo per amore, ma anche per sopravvivenza”. Non chiedono miracoli ma presenza reale, servizi continuativi, visione. “Chiediamo che il Dopo di noi non sia uno slogan, ma una promessa mantenuta. Perché solo sapendo che esiste un domani giusto possiamo continuare a vivere, oggi, con dignità e speranza”.
“Penso al suo futuro per poter morire serena”
Per molte famiglie il supporto pubblico è fragile, intermittente o del tutto assente. Per questo si rimboccano le mani e portano avanti progetti. “Dal giorno della diagnosi di autismo di mio figlio Matteo, a 2 anni d’età, in cui ho compreso che non avrebbe mai potuto essere autosufficiente, ho avuto solo due obiettivi nella mia vita, costruire attraverso un percorso di riabilitazione scientificamente validato maggiori autonomie possibili per lui e cercare di morire serena”. A dirlo è Mara Navoni, mamma di Matteo. Da qui nasce sul territorio di Cologno Monzese (Mi) l’associazione Mondoabaut, associazione e Centro A.B.A. per vedere garantiti cure e diritti. “Il Dopo di noi si costruisce con il Durante noi e la nostra importante collaborazione con la Fondazione “Il Domani dell’Autismo” lo testimonia perché solo insieme il futuro può fare meno paura”, spiega Navoni. “A oggi l’idea che non potrò spiegargli che non l’ho abbandonato il giorno che non mi vedrà più mi devasta, l’ultima cosa che vorrei è essere per lui causa di dolore. Per questo motivo è di vitale importanza poterlo accompagnare in quello che dovrà essere la sua futura famiglia nel “diventare grande” già da oggi che ha 15 anni, in un reale Progetto di vita che non resti solo una legge virtuosa ma si trasformi in una solida e concreta realtà”.
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