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Май
2024

Bisogna tutelare il gorgonzola e gli altri formaggi italiani

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Nei giorni scorsi Milano è stata teatro dell’Assemblea Annuale dei Soci del Consorzio Gorgonzola Dop. Si è parlato di “Mangiare bene” con il Presidente Antonio Auricchio, lo chef stellato Enrico Bartolini, il campione del mondo di pizza Davide Civitiello, la star di TikTok Rafael Nistor e la nutrizionista Samantha Biale.

Si è fatto il punto sui dati economici, sull’utilizzo del Gorgonzola Dop in casa, al ristorante, nello street food. Si è tornati soprattutto a parlare del patto che il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida ha firmato (il 7 maggio durante Cibus a Parma, ndr) per la promozione di quelli che considera "due settori strategici del nostro Paese". I formaggi appunto e la ristorazione.

Abbiamo discusso con Antonio Auricchio, ai vertici del Consorzio di Tutela del Gorgonzola e presidente di Afidop, l'Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp di quelle linee guida necessarie a garantire una maggiore tutela e valorizzazione dei prodotti caseari certificati. Ricordando che i formaggi devono essere anche serviti nel modo giusto, raccontati nel modo giusto, scritti nel modo corretto in un menu ma soprattutto serviti alla giusta temperatura, come fosse un buon vino o il migliore dei piatti: “Dobbiamo proteggere i nostri prodotti dalle contraffazioni che generalmente sono delle porcherie” è un fiume in piena, il presidente Auricchio.

Antonio Auricchio

Mangiare bene, è il vostro claim. Ce lo spieghi meglio.

«Vogliamo che le cose siano fatte nel modo giusto. Il mangiar bene implica che il formaggio sia fatto bene. In tutto il mondo ci invidiano i nostri prodotti, ecco perché a qualsiasi produttore di latte e di formaggio dico che per vincere la sfida mondiale dobbiamo tenere alta la qualità. Lo so che è difficile, a volte si tira la cinghia, anche io ho un piccolo caseificio dove faccio il mio gorgonzola, spesso si è in perdita ma bisogna continuare a ragionare da eccellenza. Dobbiamo poi limitare l’Italian Sounding, quel fenomeno che consiste nell’imitare le nostre eccellenze enogastronomiche e che secondo l’ultimo rapporto ISMEA-MASAF, supera i 90 miliardi. A New York ho mangiato della Fontina e del Gorgonzola fatti negli Stati Uniti, poi ho mangiato il Parmesan e un provolone con un cognome non suo. Questi prodotti mangiano quote del nostro mercato. E allora, come si fa? Come si tutela il consumatore? I nostri produttori? Come si tutelano quei turisti che scelgono l’Italia anche per l’enogastronomia? Vengono per il nostro mare, le nostre montagne, i nostri mari ma soprattutto vengono a mangiare bene».

Il settore caseario italiano come sta?

«È un momento molto difficile, il Parmigiano Reggiano è un po’ in sofferenza soprattutto per gli stagionatori. Il Grana Padano va a gonfie vele, sta dando delle belle soddisfazioni, parliamo di 5 milioni e 500 mila forme: vediamo un futuro roseo. Nei giorni scorsi abbiamo rieletto Renato Zaghini presidente del Consorzio Grana Padano. Ci sono i piccoli e piccolissimi produttori, veri e propri gioielli come il Formai de Mut dell'Alta Valle Brembana, la Casciotta d'Urbino, che vanno presi per mano e portati in giro per il mondo per essere conosciuti e poi ci sono quelli che sono già famosi in tutto il mondo come la Mozzarella di Bufala Campana, il Gorgonzola, il Pecorino Romano. A volte si sottovaluta l’importanza della temperatura di servizio dei formaggi. Sa che il grande freddo addormenta tutti quei profumi e quei sapori che fanno di un normale formaggio un’eccellenza mondiale? Una mozzarella la togli dal frigo magari un’ora e mezza prima di servirla ma il Parmigiano Reggiano devi toglierlo prima. La cura dei particolati fa da sempre la differenza, altrimenti si vanifica il lavoro di chi quel formaggio lo ha prodotto».

Stiamo parlando di fare cultura intorno al cibo. Spesso però nel mondo della ristorazione o non c’è il tempo o non c’è la formazione per un simile approccio.

«Consiglio alle aziende di aprire le porte, come fa chi produce vino o anche olio. Aprire le porte per far capire ai giovani cosa c’è dietro un formaggio, a partire dalle ricette antichissime. Penso al Pecorino dei romani, che ha più di 2000 anni di storia, ai mille anni di storia del Gorgonzola. Per definire la bontà di questi prodotti, un peso importante lo ricoprono i rispettivi territori. Si dovrebbe capire realmente perché il Formai de Mut si fa a Sondrio, perché il Branzi si fa sulle Alpi Orobie. Parlo spesso dello Strachitunt, una piccola realtà bergamasca… ecco perché mi sento defraudato della mia storia quando vedo un prodotto scimmiottato dal Brasile, dall’America o dai paesi dell’Asia. Quei formaggi raccontano la genialità dell’uomo e la bellezza dell’Italia, stretta e lunga. C’è una spiegazione storica e culturale se le Tome piemontesi sono nate lì e la Mozzarella di Bufala in Campania, parliamo del nostro patrimonio nazionale. Ai formaggiai dovremmo approcciarci come ai più importanti degli ambasciatori del Made in Italy».

Il clima in che modo vi tocca? Cosa cambia? I tempi di stagionatura? Di produzione? E i conflitti? Ci sono mercati preclusi? Conseguenti aumenti dei prezzi?

«La guerra Russia-Ucraina è iniziata da due anni eppure, sono dieci anni che non esportiamo in Russia, un mercato importante in cui oggi è vietato esportare formaggi, salumi, fiori, verdura. In Ucraina oggi esportiamo un terzo rispetto a prima dello scoppio del conflitto. I prezzi? Aumentano solo se aumenta il costo del latte, non aumentiamo perché importiamo meno. Poi c’è la questione dell’Istmo di Suez, delle navi bloccate… era una via che usavamo per mandare il siero in polvere nei paesi asiatici, adesso ci tocca circumnavigare l’Africa spendendo molto di più.

Il clima? Lo scorso anno ci fu un caldo bestiale, dicevano l’estate più calda degli ultimi 100 anni. Molti produttori si sono attrezzati mettendo nelle stalle, soprattutto in Pianura Padana, le ventole con lo spruzzo dell’acqua per tenere al fresco gli animali e dare un senso importante al benessere animale, primo vero passo verso la sostenibilità. Quando c’è tanto caldo come noi beviamo di più, anche l’animale beve di più e mangia di meno e quindi produce meno latte. Quest’anno invece ha piovuto tanto, piogge torrenziali, allagamenti, è un mondo che è un po’ impazzito, è difficile fare previsioni, dobbiamo essere pronti a intervenire in caso di emergenza, ma anche veloci nel cambiare modo di lavorare. Il latte della stessa stalla quando ci sono 40 gradi è un tipo di latte, quando ce ne sono come ora 15 o -5 in inverno cambia e devo di conseguenza adeguare la lavorazione di quel latte. La sfida di oggi è fare dei grandi prodotti in grandi quantità per tutto l’anno, non un prodotto eccellente una tantum».

Sicurezza alimentare. Come si garantisce?

«Abbiamo delle ricette millenarie in stabilimenti modernissimi. La prima cosa da tutelare è la ricettazione che, se fai parte di una Dop deve sottostare a dei disciplinari durissimi, dalla zona d’origine, al fermento da usare, al tipo di caglio, alle camere bianche in cui i formaggi vengono confezionati. La inviterei negli stabilimenti dei nostri consorziati, nel reparto confezionamento dove mascherine e guanti sono la prassi ben prima che diventassero di uso comune a causa del Covid. Questo approccio è l’unico da avere se si vuole rispettare il consumatore».

Parliamo della riforma delle indicazioni geografiche. Cosa cambia?

«Lo scorso 28 febbraio il Parlamento Europeo ha votato a stragrande maggioranza la riforma del sistema delle indicazioni geografiche che rafforza il ruolo dei Consorzi di tutela e valorizza i prodotti Dop e Igp. Abbiamo in Italia 55 formaggi tra dop e igp, nessuno come noi, anche i cugini francesi ne hanno un numero inferiore, in Norvegia per farvi capire la grandezza della cosa non ce n’è neppure uno. Abbiamo provato a far sì che la Comunità Europea seguisse i nostri consigli e un plauso va all'onorevole Paolo De Castro, membro della Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento Europeo. Ci ha aiutato a far capire l’importanza delle dop e non è stato facile. Siamo stati osteggiati in Europa».

Come?

«Un esempio su tutti? I francesi vorrebbero far passare in Europa l’etichettatura a semaforo. Si chiama Nutriscore è un sistema che assegna colori e lettere in base alla salubrità degli alimenti, ovvero al livello di zuccheri, grassi e sale contenuti in 100 grammi di prodotto. Per fortuna, invece, le nuove riforme danno più forza ai Consorzi e da qui partirà una vigilanza sempre più serrata. Dobbiamo essere gli angeli custodi della qualità del formaggio, essere sicuri che il prodotto che va sugli scaffali o viene consumato in casa degli italiani sia stato fatto seguendo le regole. Che poi dovrebbe essere l’interesse di tutti».

Parliamo di formaggi certificati. Si punta più all’estero?

«Con 590mila tonnellate prodotte nel 2023 (+11,6%) e 5,2 miliardi di euro di valore alla produzione, l’Italia è al terzo posto tra i principali produttori caseari europei, dopo Germania e Francia (dati Afidop). Per quanto riguarda il Gorgonzola Dop, lo scorso anno la produzione ha raggiunto 5.178.975 forme con una crescita del 2,59%. Rispetto al 2021 la produzione è leggermente calata (-1.54%) ma abbiamo recuperato più della metà di quanto avevamo perso nel 2022. Anche quest’anno promette bene. Nei primi quattro mesi del 2024 la produzione ha registrato un aumento dello 0,86% rispetto al 2023 e dell’8,18% rispetto al 2022».

I consumi in Italia sono però un po’ fermi, alle volte c’è un po’ di confusione, ad esempio nelle mozzarelle usate in pizzeria dove spesso fanno la loro comparsa cagliate strane, straniere, a dimostrazione del fatto che non si deve mai abbassare la guardia.

«E si, l’estero è nel nostro mirino. In America e Brasile vendiamo tanto Gorgonzola ma dal momento che la denominazione non è protetta lo possono produrre anche loro. Dobbiamo fare un prodotto distintivamente più buono rispetto alle concorrenze straniere, in modo che il mio consumatore americano dopo aver mangiato il Parmesan e il Parmigiano Reggiano abbia gli strumenti per capire che il nostro prodotto è qualcosa dell’altro mondo, lo stesso discorso vale anche per il Gonrgonzola del Wisconsin, per il Provolone del Montana e per la mozzarella, anche se ormai tutti ce l’hanno copiata, per merito di alcuni bravi caseari italiani che a fronte di stipendi più alti si sono lasciati giustamente ingolosire e hanno iniziato ad insegnare come fare i prodotti italiani oltreoceano. Purtroppo, a livello legale non possiamo fare nulla se non lavorare sulla qualità. Mi auguro che certi paesi non rimettano dei dazi che potrebbero uccidere il mercato. Se facciamo protezionismo il mondo diventa piccolo, un mondo globalizzato ma piccolo e sarebbe un errore. Purtroppo, abbiamo tante spade di Damocle che sono sulla nostra testa, speriamo che non cadano».

Leggera flessione per la tipologia piccante (-2,47%) che copre l’11,86% della produzione.

«E pensare che quello che oggi è indicato come gorgonzola piccante in realtà è l’originale, quello dolce è arrivato dopo e ha preso il sopravvento soprattutto in Lombardia e nel nord Italia, consumato con la polenta, con il riso. La variante piccante andava forte in Gran Bretagna ma dopo l’uscita dalla Comunità Europea è diventato più difficile importarlo, i suoi consumi si sono fermati, a favore dei francesi Stilton e Roquefort».

Mode che non passano mai. Il carrello dei formaggi.

«I ristoratori stanno finalmente capendo, nuovamente, l’importanza di avere un carrello dei formaggi. A patto che si impegnino a dare risalto ai prodotti del territorio. In Lombardia mi aspetto del buon Provolone e Grana Padano, del Gorgonzola, Taleggio, il Salva Cremasco, a Napoli mangio più volentieri la mozzarella di bufala, in Toscana il suo pecorino, a Roma l’altro Pecorino, l’Asiago sull’Altopiano. Non vanno solo presentati bene ma spiegati e fatti conoscere, solo così il consumatore sempre più attento e curioso se ne innamorerà».






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