Troppo rumore nel golfo di Trieste, l’inquinamento acustico danneggia la fauna
TRIESTE Per le specie che lo abitano, il Golfo di Trieste è come una grande discoteca, con il dj che mette dischi sul piatto 24 ore su 24. Si tratta di una delle aree più rumorose dell’Adriatico, per la presenza di attività portuali e traffico nautico da diporto, di barche da pesca e quant’altro. Un baccano continuo causato dalle attività umane, che mette a dura prova la salute uditiva dei pesci e degli altri organismi che popolano quest’area marina, provocandone la temporanea sordità.
È come quando usciamo da una discoteca dopo aver ballato per ore vicino alle casse e ci portiamo dietro quella sensazione di orecchie ovattate e rumori attenuati. Ma il problema per i pesci e gli altri animali che popolano i nostri mari è ben più rilevante, perché l’udito è il senso più importante per la loro sopravvivenza: una compromissione, anche temporanea, del suo funzionamento può avere conseguenze pesanti. È stato dimostrato, ad esempio, un aumento del 120% del livello di cortisolo (un ormone dello stress) in pesci esposti al rumore generato da grosse imbarcazioni in movimento. E poi ci sono effetti nocivi sulle tante attività di questi animali che sfruttano il senso dell’udito, a partire dalla comunicazione, che per questi organismi è essenziale per sopravvivere, per orientarsi e per riprodursi.
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L’inquinamento acustico del Golfo di Trieste e il suo impatto sulla flora e sulla fauna è stato il tema al centro dell’incontro “Il mare non è un luogo silenzioso”, organizzato ieri all’Antico Caffè San Marco a Trieste. Organizzato da Area Science Park, Ictp, Rai Fvg e Sissa, ha avuto come protagonista Marta Picciulin, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine-Cnr di Venezia e collaboratrice dell’Area marina protetta di Miramare, che ha guidato il pubblico, con la moderazione della giornalista Rai Gioia Meloni, in un breve e istruttivo viaggio sonoro in questo spicchio d’Adriatico. «I pesci non sono muti come vorrebbe il detto - è stata la premessa -: anzi, possono essere molto rumorosi. Già a metà del Novecento erano note ben 40 specie di pesci “chiacchieroni” mentre oggi la lista conta più di un centinaio di specie ittiche che producono suoni. Alcune lo fanno per tutto l’anno, per esempio per definire i limiti del proprio territorio, altre solo in determinati periodi, come la stagione riproduttiva: il suono diventa allora una vera e propria serenata d’amore».
Come noi umani siamo animali visivi, e ci muoviamo in paesaggi visivi, caratterizzati da diverse forme e colori, nel mondo marino si parla di paesaggio sonoro. Che è costituito da suoni di origine naturale, come quello della pioggia o delle onde, e altri causati dalle attività umane. Negli ultimi decenni questi ultimi sono divenuti così intensi e ubiquitari da costituire la frazione di gran lunga più importante del rumore subacqueo. Con conseguenze negative per le specie marine, tanto più visto che nell’acqua di mare il suono viaggia a una velocità cinque volte maggiore rispetto a quella a cui viaggia in aria e si disperde molto meno, così da arrivare a percorrere distanze importanti.
Marta Picciulin si occupa proprio di studiare i paesaggi sonori marini e l’impatto dell’inquinamento acustico sottomarino sugli organismi viventi: la Comunità europea, dice la ricercatrice, è stata la prima al mondo a legiferare su questo problema, chiedendo agli Stati membri di monitorarlo. Così sono nati alcuni progetti che coinvolgono anche l’area del Golfo di Trieste, come l’Interreg Italia-Croazia Soundscape, che vede coinvolti, tra gli altri, Arpa Fvg e Ismar Cnr Venezia, e Saturn - Horizon 2020, con il coinvolgimento di Ismar Cnr. Gli obiettivi dei progetti sono più d’uno: monitorare e mappare l’inquinamento acustico sottomarino, identificare le specie presenti in una determinata area e i problemi di tipo antropico, per arrivare così a misure di mitigazione dei rumori generati dalle attività umane.
