Stefano Gabbana proprio non si spiega la frenesia che sui siti e le piattaforme di re-sell o di vintage accompagna la messa in vendita di vecchi capi di Dolce e Gabbana e D&G, la seconda linea nata nel 1994 e chiusa nel 2011.

Non si tratta di un’ondata di nostalgia per l’archivio delle creazioni dei due designer, ma di un fenomeno che rientra nella più ampia ossessione che la Gen Z prova per gli anni 2000, con la bolla estetica Y2K che sui social si gonfia nutrendosi di denim in qualunque forma (su su fino al canadian tuxedo di Justin Timberlake e Britney Spears), crop top, colori acidi, occhiali dalle lenti fumé, trucco opaco, capelli stirati e cellulari Motorola Razr.

Nel backstage di Dolce&Gabbana - Men's Fashion Show Milano 2022.jpg

courtesy press office

È un ritorno ciclico, l’ossessione dei millennial erano (sono) gli anni ’80. Gabbana dice: «Noi negli anni ’80 e ’90 eravamo ossessionati dagli anni ’40 e ’50. Continuiamo a imparare dalle nuove generazioni e ci facciamo incuriosire dalla loro energia ed entusiasmo. Specialmente nel mondo del digitale, al quale ci siamo avvicinati grazie ai ragazzi con cui lavoriamo, abbiamo un team molto giovane».

Sebbene Stefano e Domenico abbiano sempre ben presente cosa segna il barometro della coolness, sembra trapelare un certo emozionato e divertito orgoglio quando raccontano di aver scoperto quali sono i prezzi che dei ventenni sono disposti a pagare per i loro vestiti degli anni ’90 e 2000, anni in cui quegli stessi ventenni erano a malapena nati.

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Quindi, col piglio pragmatico che li contraddistingue, hanno deciso di dare loro quello che desiderano, andando a cercare in archivio e riguardando le loro stesse sfilate. «Ultimamente anche tantissime celeb ci chiedono pezzi del passato, ma un sacco di roba l’abbiamo persa, non si trova più, vai a sapere. Abbiamo anche colto l’occasione per ricomprare da dei privati dei nostri pezzi che erano andati perduti e per razionalizzare il nostro archivio». 

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Ovviamente Machine Gun Kelly e Megan Fox col loro matrimonio a Portofino insegnano. Chiedo loro come scelgono le celebrity con cui lavorano: »Lavoriamo con tante celeb, specialmente a livello internazionale. Non scegliamo mai un nome; andiamo sempre alla ricerca di una personalità, di una storia. Nel tempo, abbiamo costruito con alcuni personaggi e le loro famiglie rapporti sinceri, d’amicizia».

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Se però c’è un uomo che incarna quell’idea di uomo, l’icona maschile di quegli anni, senza se e senza ma, quello è David Beckham.

Imperatore metrosexual, i cui vestiti, ben visibili contrariamente alla favola, erano marchiati D&G.
E infatti, pur non essendo presente in carne e ossa («Purtroppo non siamo riusciti a combinare le agende», rispondono gli stilisti quando in conferenza stampa chiediamo di Becks),  lo spirito glamour (che bello poter usare questa parola senza ironia) del prima numero 7 al Manchester United e poi 23 al Real Madrid aleggiava in tutta la collezione, tra citazioni dirette ed exploit che riportavano dritti all’epoca d’oro del metrosexual, realizzati dagli stessi produttori del tempo.

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Monica Feudi - courtesy press office

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«Non è il nostro uomo a essere cambiato, è l’uomo stesso a cambiare insieme al suo tempo. La nostra moda guarda al presente; noi stessi ci facciamo ispirare dalla strada e da ciò che quotidianamente accade intorno a noi. Perché limitarsi a una definizione?».

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Ma cosa significa mascolinità? «Personalità, carisma, valori positivi, che sono da sempre i pilastri della nostra moda.». Il primo look, se così si può chiamare, è un esempio di Dolcegabbanismo fin de siècle in purezza: slip e canotta bianchi e una catenina d’oro al collo, nient’altro, non un remake ma esattamente quelli usciti in sfilata nel 1990.

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E poi jeans strappati, ricostruiti, patchwork, grappoli di anelli sulle dita, rosari con le pietre che indugiano su petti lucidi lasciati scoperti da camicie lavoratissime e semitrasparenti, in broccati devoré o coperte di pietre lasciate aperte ben oltre il limite del bon ton.

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Infine la parte formale con tanto bianco e tanto nero, e certi completi oversize in garza di cotone o tessuti tecnici stropicciati che, fuori dai denti, sono veramente fighissimi.

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«Mai come oggi, i giovani apprezzano la bellezza dell’abito formale. Lo vediamo facendo i casting, lavorando alle sfilate o, più semplicemente, osservando i ragazzi che lavorano con noi. La giacca incarnerà sempre la nostra idea di eleganza, è una nostra icona, ma continuiamo a credere che l’eleganza sia prima di tutto un’attitudine».
Quando dicono che «fino a Beckham la moda uomo era percepita come per omosessuali o addetti ai lavori, grazie a Beckham è diventata per tutti» forse esagerano, ma il modo in cui il mondo dello sport a partire dagli anni ’90 ha aperto le porte alla moda maschile è stato a tutti gli effetti rivoluzionario.

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Questo tipo di riflessioni non ha nulla di nostalgico, perché la questione da cui tutto parte, l’ossessione della GenZ, non è nostalgia. È la divertita riappropriazione per un passato che non hanno vissuto. E che quindi nella loro rielaborazione, viene riscritto, secondo regole che sono le loro. 
Non è nostalgico neanche per Stefano Dolce e Domenico Gabbana, che riguardando alle cose che hanno fatto si dicono stupiti e felici di fare i conti con il loro lavoro: «Ci siamo accorti che siamo stati bravi. Abbiamo fatto anche un sacco di stronzate, ma certe cose erano veramente belle».