Coronavirus, il 30% dei dimessi ha ancora danni ai polmoni
Il dato emerge dalle visite nell’ambulatorio del post-Covid della Pneumologia. Cinquanta pazienti guariti sono tornati a farsi visitare: il rischio è quello della fibrosi
TREVISO. Ogni dieci pazienti che si sono ammalati di polmonite interstiziale causata dal Covid 19, tre riportano ancora i segni dell’infiammazione. Si tratta di danni ai tessuti che potrebbero evolvere in fibrosi polmonare, diventando permanenti, o guarire sparendo del tutto. Nessuno al momento è in grado di fare una previsione certa.
Il dato
Il dato emerge dall’esame effettuato sui pazienti Covid ricoverati nel reparto di Pneumologia dell’ospedale Ca’ Foncello durante il picco del contagio di primavera, a quattro-cinque mesi dalle dimissioni. Pazienti che sono stati richiamati per visita ed esami di controllo, nell’ambulatorio del post-Covid aperto a fine maggio per verificare le condizioni dell’apparato respiratorio e gli esiti delle polmoniti da Covid anche dopo la piena guarigione.
«Su 70 pazienti dimessi una cinquantina è tornata per il controllo – spiega la primaria del reparto di Pneumologia, Micaela Romagnoli – Tutti sono stati sottoposti a raggi X, tac e spirometria: clinicamente sono guariti, tutti soffrono di una forte astenia, forte senso di spossatezza, e si stancano con molta facilità. Raggi e tac mostrano però la persistenza di alcune alterazioni nel 20-30 per cento dei casi. Ci sono modesti segni di interstiziopatia, cioè polmonite interstiziale, anche se i pazienti sono tutti guariti e negativi al tampone. Questo dato fa supporre la persistenza di un lieve stato infiammatorio o di un processo che può evolvere in fibrosi polmonare».
La dottoressa Romagnoli tiene a rassicurare i pazienti. «Non sappiamo ancora esattamente di cosa si tratti – precisa – vedremo se ci sarà un’evoluzione in fibrosi polmonare oppure se si andrà alla completa guarigione. L’importante è che i pazienti stiamo bene e che si tengano controllati».
Guarigione
I pazienti che sono tornati in ospedale per farsi visitare dagli specialisti dell’ambulatorio del post-Covid, sono stati dimessi per la maggior parte tra marzo e aprile dopo lunghi ricoveri e dopo essere stai sottoposti a cure impegnative. Una volta guariti hanno continuato a lottare contro spossatezza e fiatone.
E non è ancora finita. «La cosa più importante è la guarigione clinica e c’è stata in tutti – puntualizza la dirigente del reparto – quelli che hanno ancora un’alterazione, non devono spaventarsi». I pazienti che rientrano in quel 30 per cento che ancora combatte con gli strascichi della malattia si sottoporranno a controlli a distanza con la tac. E dovranno nuovamente sottoporsi a tac, restando sotto controllo medico.
L’identikit
Mediamente settantenni e quasi tutti uomini, si tratta di pazienti colpiti duramente dal Covid anche perché in parte affetti da patologie “sensibili” come diabete mellito, cardiopatie e insufficienza renale: patologie che hanno reso più vulnerabili i malati. Il reparto dopo il 5 maggio è tornato alla normalità.
Conserva il potenziamento da 12 a 20 posti letto con due medici in più, nel caso l’emergenza dovesse tornare a livelli critici. La dottoressa Romagnoli conclude con una raccomandazione ai giovani: «Abbiamo visto pazienti gravissimi tra marzo e aprile. Dico ai giovani: stiamo attenti perché ancora non ci sono terapie specifiche, né il vaccino è ancora disponibile e non sappiamo come andrà nei prossimi mesi». —