Mille ferraresi da curare a casa: i timori dei medici di famiglia
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Positivi asintomatici e sospetti vanno seguiti a domicilio: mancano tute, calzari, visiere e formazione
FERRARA. Sono un migliaio i ferraresi sottoposti a sorveglianza al di fuori dell’ospedale, quasi tutti in isolamento domiciliare, perché positivi fino a sintomi lievi, sospetti Covid senza tampone oppure pazienti dimessi dopo la malattia in attesa dei due tamponi negativi che ne certifichino la guarigione definitiva. La loro situazione dovrà essere monitorata con maggiore attenzione, stante il cambio di strategia annunciato dalla Regione che vuole potenziare le Unità straordinarie di continuità assistenziale (a fianco degli Ospedali di comunità) come strumenti per portare nelle case le cure in grado di evitare aggravamenti e sviluppare forme di accompagnamento all’uscita dalla convalescenza. I numeri si preannunciano in forte crescita a partire dalla prossima settimana, anche per la necessità degli ospedali Covid di Cona e Lagosanto di liberare posti letto per i pazienti critici, ma per funzionare gli Usca hanno bisogno del pieno coinvolgimento dei medici di base, che si sentono non da oggi in prima linea e cominciano ad esprimere apertamente le loro preoccupazioni.
Presidi mancanti
Qualche avvisaglia è arrivata l’altra sera alla lunghissima riunione dell’Unità di crisi in prefettura, dove il presidente dell’Ordine dei medici, Bruno Di Lascio, si è fatto portavoce dei timori dei medici di famiglia. Fino ad oggi la maggior parte di loro hanno seguito i pazienti Covid e sospetti tali con triage telefonico, ma una presa in carico più attiva si scontra con la mancanza di presidi di protezione individuale adeguati. Non si tratta più di guanti e mascherina, fanno presente i medici di famiglia, ma del necessario per l’intera vestizione: tute, calzari, visiere, e in quantità sufficienti. Bisogna poi imparare ad utilizzare questi presidi, in particolare a svestirsi, procedura complicata e maggiormente a rischio di contagio. E fino a questo momento, è la sottolineatura, i due kit spediti dall’Asl l 25 febbraio e il 19 marzo contenevano complessivamente 4 mascherine chirurgiche, 6 paia di guanti e 2 sovratute leggere.
Al di là di questo, c’è da varare un regolamento per l’attivazione degli Usca, che in altre realtà territoriali sotto pressione da tempo, a Piacenza e Pavia ad esempio, sono già una realtà.
Emendamento bocciato
Il confronto a livello locale s’innesca su di un quadro nazionale che rischia di complicare le cose. In fase di analisi degli emendamenti del Cura Italia, in commissione Bilancio del Senato, è arrivato il parere negativo della Ragionieria di Stato su di una richiesta a prima firma Paola Boldrini (Pd), sostenuto dal sindacato Fimmg, sull’obbligo di estensione della fornitura dei dispositivi di protezione individuale ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta e ai farmacisti. La ratio è che si tratta di professionisti lasciati nel limbo delle interpretazioni amministrative che, vedendoli come lavoratori autonomi, devono provvedere autonomamente a queste forniture; inoltre mancava una relazione tecnica per quantificare gli oneri finanziari. E il sindacato medici è scatenato. —
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