«Metterò on line alcuni lavori didattici e intanto coltivo piante e fiori sul balcone»
IVREA
Laura Curino al tempo del Coronavirus. Un piacere ascoltarla, anche quando dal palcoscenico di un teatro passa a quello domestico di una quotidianità complicata.
Cosa è cambiato nella sua quotidianità?
«Per ora somiglia alle rare pause dal mio lavoro d’attrice, che mi porta sempre in giro. Somiglia a quando mi fermo per scrivere uno spettacolo, ma senza le uscite per prendere aria, senza poter cenare qualche volta con gli amici e i parenti, senza la possibilità di correre in biblioteca alla ricerca di una ispirazione. Studio, ma è difficile concentrarsi. Con mio marito passiamo molto tempo a lavorare su archivi e documenti».
Come mantiene i contatti con le persone, sia familiari e amici, sia il pubblico?
«Vedo mia madre una volta almeno al giorno, cucino per lei e le faccio la spesa e le telefono più volte. Chiamo, tra gli amici, soprattutto chi vive solo. Sennò vado di messaggi. Ho scritto da diversi giorni agli amici e ai parenti all’estero perché non sottovalutino il problema, dando loro delle indicazioni pratiche, anche se non erano ancora state diffuse in quei Paesi. Sto preparando qualche piccolo intervento da inserire on line. Ma non troppo. Le persone sono quasi sommerse di video. Dovrò sicuramente mettere on line lavori didattici, ma non subito. Coltivo sui balconi tutto quello che posso: ho un bisogno feroce di veder fiorire qualcosa di bello».
Come sfruttare al meglio questo obbligo di rimanere a casa e questa sospensione delle attività esterne: cosa fa lei e quali consigli su come impiegare il tempo?
«Consiglio di strigliare casa. Doppio risultato: disinfetta e fa fare attività fisica. Consiglio di buttare via quello che si è accumulato da anni. Che è poi un modo per liberare anche la mente dall’ammasso di pensieri inutili e ricominciare, quando si potrà, con il nostro territorio un po’ più sgombro. E, ancora, una cucina più sana di quella fatta di corsa. Va detto che non tutti hanno tempo libero da occupare: chi ha bambini a casa o anziani da accudire, si ritrova a dover affrontare un uragano. Consiglierei, dove si può, di dividere equamente i compiti in famiglia e approfittare di qualche quarto d’ora in più al giorno per ascoltare chi vive con noi, o chi possiamo raggiungere al telefono: c’è tanta gente che ha bisogno di ascolto. E di consolazione».
Quale sarà l’eredità di questa esperienza?
«Ce lo diranno all’apertura delle ultime volontà di questa bestiaccia. Si fanno tante ipotesi: il mondo sarà migliore, il mondo sarà peggiore. Non so. Per ora l’importante è che tutti possano restare al mondo. L’ipotesi di richiesta fermata totale delle guerre in tutto il mondo mi fa tremare di attesa».
Progetti futuri?
«Lavoro a un nuovo spettacolo, scrivo. Il sogno, però, è il ritorno sicuro e sereno al nostro bel Teatro Giacosa. Non vedo l’ora di trovarmi nell’ufficio del Contato del Canavese, in mezzo a telefoni che squillano, persone che lavorano a mille, spettatori che passano per le ragioni più diverse, battute, risate, problemi da risolvere, dolci, focacce e caffè. Mi manca quella vitalità forte e ritrovarla significherà che anche il resto del Paese starà ricominciando a vivere e lavorare. Mi manca non andare in scena, mi manca l’incontro col pubblico. Mi manca lavorare».
Un messaggio al suo pubblico e a tutte le persone in generale?
«Di cose ne ho già dette tante e in fondo una parte di me resta un po’ ruvida e sabauda e vorrebbe smettere subito di parlare. Nel Dna ho qualche gene che mi dice sempre “Esageruma nen”, ma, per fortuna, nella mia mappa genetica c’è anche una parte entusiasta e comunicativa, che si lascia andare. Al pubblico dico: vi voglio bene. Perché è vero. E perché abbiamo bisogno di sentircelo ripetere mille volte in questi giorni. A tutti in generale dico: Restiamo a casa, facciamo tutto quello che si deve fare, facciamolo con attenzione. Esercitiamo la pazienza, soprattutto con le persone con cui dobbiamo dividere questa forzata reclusione. Ascoltiamoci. Siamo solidali con chi sta male. E, con il rispetto dovuto a chi soffre, troviamo dei momenti per sorridere e farci ridere a vicenda. Ridere di gusto ci aiuta. Per prepararci a ridere davvero quando tutto sarà finito». —