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Апрель
2019

Marco Pantani, i fotogrammi del suo corpo possono ancora dirci qualcosa

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Marco Pantani, i fotogrammi del suo corpo possono ancora dirci qualcosa

L’esser stati spettatori di qualche telefilm incernierato su indagini avveniristiche ci ha trasformati tutti in apprendisti investigatori, la cui stregoneria sta nell’immaginare la soluzione a dispetto di chi ha lavorato sul campo. Capita spesso di credere di saperne di più, di diffidare dell’operato di chicchessia, del dubitare di azioni e intenzioni. Non è una di quelle storie. […]

L'articolo Marco Pantani, i fotogrammi del suo corpo possono ancora dirci qualcosa proviene da Il Fatto Quotidiano.

L’esser stati spettatori di qualche telefilm incernierato su indagini avveniristiche ci ha trasformati tutti in apprendisti investigatori, la cui stregoneria sta nell’immaginare la soluzione a dispetto di chi ha lavorato sul campo. Capita spesso di credere di saperne di più, di diffidare dell’operato di chicchessia, del dubitare di azioni e intenzioni. Non è una di quelle storie.

La “vicenda Pantani” è una storia di amore. Amore di una mamma per un figliolo passato – su questa terra – dal Paradiso all’Inferno. Amore di tanta gente per un campione. Amore di tutti per la giustizia. Una storia triste. Il contrario delle novelle “tradizionali”, quelle che partono tra mille dolori e difficoltà ma che si chiudono con il più rasserenante lieto fine.

La famiglia di Marco non si è mai arresa né alle carte, né al destino, continuando a “pedalare” come avrebbe fatto il “Pirata” sulle più impervie salite. Il traguardo della chiarezza si è sempre allontanato. Ogni volta.

Le immagini del corpo riverso nella pozza di sangue sul pavimento e soprattutto il dettaglio di quel volto sfigurato trovano oggi una maggiore sensibilità in chiunque. Forse lo dobbiamo alla inossidabile tenacia con cui Ilaria Cucchi ha ostentato il viso del suo irriconoscibile fratello fino a trasformarlo nell’icona della ricerca disperata della verità.

Impegnativi procedimenti giudiziari e faticose inchieste giornalistiche si sono intrecciate senza confluire nel medesimo rivolo. Il travaso di tanti elementi sulla medesima linea temporale può permettere di arricchire ogni “versione” dei fatti, fino a delineare una sequenza cronologica ricca di spunti di approfondimento.

I genitori di Pantani hanno “arruolato” alcuni esperti, ciascuno caratterizzato da specifiche competenze, per distillare quanto fatto finora da magistratura, forze dell’ordine, testate giornalistiche. Non una operazione di delegittimazione, ma solo la creazione di un punto di partenza per fare luce su una pagina di storia che forse merita di essere riscritta.

Il recente reportage di Alessandro Di Giuseppe ha aperto una breccia significativa. Quella puntata delle Iene ha avuto un effetto pressoché tellurico e lo sciame sismico che ha mosso le coscienze ha innescato la voglia di capire davvero cosa è successo. In una stagione in cui le “fake news” inquinano il vivere quotidiano, il giornalismo investigativo rivela il suo ruolo fondamentale per la democrazia, la giustizia, la verità, la crescita di future generazioni più coscienti.

Tante persone hanno raccontato a Di Giuseppe frammenti sfuggiti alle precedenti ricognizioni ed indagini. La gente ha paura di esporsi, ha timore di eventuali domande, sente il peso del “metus potestatis” delle Autorità, immagina di non esser creduta e – inutile negarlo – ha sempre meno fiducia nelle istituzioni. E’ più facile confidarsi con un reporter, che si presenta contento di acquisire informazioni, che con un tutore della sicurezza che – non di rado – non si entusiasma e non entusiasma chi si è rivolto a lui per raccontare qualcosa che ritiene importante.

Presentare una denuncia o un esposto è più oneroso che mettersi a chiacchierare con un giornalista curioso, suadente e invisibilmente insistente. Non c’è rapporto imperativo, ma coinvolgimento di chi sa e che si sente parte della soluzione. Ho vestito l’uniforme dal 1975 al 2012 e ho ben idea della difficoltà di rapportarsi con i cittadini. Ho avuto in tasca dal 1990 due tesserini (quello GdF e quello dell’Ordine dei giornalisti) e nel cuore le due anime apparentemente contrapposte di professioni mirate comunque a “scoprire”, comprendendo quanto fosse importante la summa degli input che ciascun ambito poteva recepire.

Non ci si deve mai innamorare delle proprie ipotesi investigative, dell’intuito, del fiuto. Sbagliano anche i più bravi ed attenti, magari per un dettaglio non considerato o non conosciuto. Occorre sempre una prova del nove, magari serve cambiare angolatura e ricominciare.

I fotogrammi della tragica scomparsa di Marco Pantani, presi dalle diverse prospettive, offrono a distanza di tempo una serie di elementi in grado di riprendere in considerazione l’accaduto. Alcuni video possono aiutare a comprendere eventuali anomalie. Ci sono ben due servizi de Le Iene (il primo del 3 ottobre 2018 e l’ultimo del 12 febbraio 2019) e due reportage di La 7 (nei programmi “Complotti” e “Reality).

Sta ai medici – che non mancheranno tra i lettori – giudicare, ad esempio, se quelle di Pantani sono “escoriazioni da caduta” come si è letto da qualche parte o se invece sono indizio di qualcosa di diverso. Il testimone della staffetta per la ricostruzione dei fatti è nella relazione depositata alla Commissione Antimafia [qui l’audizione] dal pool di esperti nominati dalla famiglia (e di cui faccio parte), documento che condensa in 56 pagine qualcosa che può far risalire in sella il campione almeno nella memoria collettiva.

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