Gaza, così continua il “medicidio”: come oscurare un massacro ancora in atto
Chiunque abbia a cuore un giornalismo d’inchiesta, vero, coraggioso, indipendente, che dà voce a chi non l’ha sulla stampa mainstream; chiunque intenda entrare nell’inferno di Gaza senza essere narcotizzato da narrazioni-fake, farebbe bene a leggere con attenzione i reportages di una giovane reporter di Haaretz: Nagham Zbeedat.
Zbeedat ci porta dentro la sofferenza quotidiana dei gazawi, raccoglie testimonianze, declina la realtà senza fare sconti o cadendo nella trappola della propaganda a fin di bene. I suoi ultimi reportages svelano una truffa mediatico-politica che nasce da Washington, si allarga a Tel Aviv e coinvolge la pavida Europa. La truffa di un piano, quello di Trump, spacciato per pace e ritorno alla normalità nella Striscia.
I palestinesi affermano che, contrariamente a quanto sostiene Hasbara, l’ospedale Al-Shifa di Gaza è “lungi dall’essere pienamente operativo”.
Questo è il titolo dell’ultimo reportage di Zbeedat su Haaretz.
Una puntualizzazione preliminare: con il termine “Hasbara”, s’intende la propaganda di Stato che serve a orientare l’opinione pubblica attraverso una narrazione che falsifica la realtà.
Scrive Zbeedat: All’ingresso di quello che un tempo era il complesso medico più grande e importante di Gaza, su un muro di cemento era stato scarabocchiato un messaggio in arabo e inglese: “Promettiamo che lo ricostruiremo”.
Il graffito è stato ricoperto nell’ambito di un’iniziativa che ha visto collaborare per oltre un anno organizzazioni umanitarie, governi stranieri e cittadini comuni al fine di ripristinare l’ospedale Al-Shifa della città di Gaza.
Come previsto, l’occupazione e i suoi sostenitori hanno approfittato della situazione diffondendo immagini false e fuorvianti su
Tuttavia, quando la scorsa settimana sono stati diffusi online dei video che mostravano pareti dipinte di fresco e corridoi riparati all’Al-Shifa è scoppiata una polemica. In post che hanno ricevuto milioni di visualizzazioni, influencer pro-Israele sui social media hanno falsamente affermato che le immagini erano la “prova” che gli ospedali di Gaza non erano mai stati bombardati dagli attacchi aerei israeliani.
L’Organizzazione mondiale della Sanità e i media in lingua araba hanno riferito che i lavori di ristrutturazione dell’ospedale Al-Shifa sembravano essere iniziati all’inizio del 2024, con filmati che mostravano impalcature su parti delle strutture sopravvissute, nonostante le operazioni militari israeliane in corso in quel momento.
L’edificio mostrato nei video virali è il reparto maternità, una struttura situata all’estremità sud-occidentale del complesso Al-Shifa. È stato costruito alla fine del 2020 e, rispetto ad altri edifici dell’ospedale, ha subito danni minimi durante il raid dell’Idf durato diverse settimane lo scorso anno. Grazie alla vicinanza di una rete elettrica funzionante e all’accesso a materiali di base come la vernice, era una delle poche strutture che i lavoratori rimasti a Gaza erano in grado di riparare.
Queste strutture, che un tempo costituivano la spina dorsale del sistema sanitario di Gaza, sono state ridotte a metallo contorto, soffitti crollati e sale operatorie bruciate. La loro ricostruzione richiede risorse che vanno ben oltre le attuali capacità di Gaza: attrezzature specializzate, materiali importati, macchinari pesanti e manodopera qualificata sono stati tutti esauriti dalla guerra.
“Condividere queste immagini senza spiegazioni favorisce l’occupazione e la sua narrativa”, afferma Kamel, un infermiere di 28 anni del quartiere Shujaiyeh di Gaza City che ha prestato servizio come volontario nell’ospedale all’inizio della guerra nel 2023 e da allora ha visitato il complesso più volte. Questo sentimento si è diffuso ampiamente tra i residenti e gli operatori sanitari di Gaza.
Tuttavia, “gli edifici principali – il reparto chirurgico, il pronto soccorso, l’unità di dialisi, la medicina interna, le sale operatorie, la terapia intensiva e altro ancora – sono tutti distrutti e completamente inagibili”, afferma Kamel.
Più di un ospedale
Prima della guerra, l’ospedale Al-Shifa (in arabo “l’ospedale della guarigione”) era l’istituzione medica centrale di Gaza, la più grande, la meglio attrezzata e la più essenziale. Ma i palestinesi della Striscia raccontano a Haaretz che l’ospedale è un simbolo della resistenza di Gaza, un luogo dove la vita è stata data, salvata e persa durante decenni di blocco e ripetuti attacchi.
La sua distruzione durante i due anni di guerra è stata un punto di rottura per molti palestinesi, non solo per il suo ruolo cruciale nell’assistenza sanitaria, ma anche per ciò che rappresentava per una popolazione già stremata dalla devastazione.
Dopo mesi di bombardamenti e due invasioni su larga scala da parte dell’Idf, l’ospedale è ora in gran parte irriconoscibile. Gli edifici principali, tra cui quelli dedicati alla chirurgia, al pronto soccorso, alla terapia intensiva, alla dialisi e alla medicina interna, sono stati distrutti o bruciati. I corridoi che un tempo ospitavano le famiglie sfollate dalla guerra sono crollati in macerie. Le sale operatorie sono carbonizzate. Gli impianti elettrici, le condutture dell’ossigeno e le reti idriche sono stati danneggiati. Solo una manciata di strutture periferiche ha subito danni minimi, consentendo ai volontari di ridipingerle e di effettuare riparazioni di base.
Malik Abou Rageila Hajar, madre di tre figli, stava andando a prendere l’acqua per la sua famiglia a marzo quando un inaspettato attacco aereo israeliano ha scosso il terreno sotto i suoi piedi. Spaventata, è caduta violentemente, fratturandosi un braccio. Poiché Al-Shifa era a corto di forniture e serviva solo i casi di guerra più critici, ha dovuto recarsi all’ospedale Al-Quds, situato a 2,6 km di distanza. “Anche lì non hanno potuto operarmi, nonostante avessi davvero bisogno di un intervento chirurgico. Tutto quello che hanno potuto fare è stato darmi una fascia e dirmi di aspettare che il braccio guarisse da solo”, spiega. “Al-Shifa era tutto per noi quando si trattava di cure mediche”.
L’ospedale e il suo vasto complesso hanno subito alcuni dei colpi più significativi della guerra, tra cui due grandi invasioni che hanno lasciato profonde cicatrici fisiche e psicologiche alla popolazione di Gaza. Durante la prima incursione, ampie sezioni del complesso sono state bombardate, le sue ali mediche sono state sopraffatte dai feriti e le forniture di energia elettrica e ossigeno sono state interrotte.
La seconda invasione, durante gli ultimi giorni del Ramadan la scorsa primavera, è stata molto più distruttiva. “Hanno bruciato tutto. Hanno raso al suolo i cortili dell’ospedale “, ricorda Hajar. ”Quando l’esercito si è ritirato e finalmente ci è stato permesso di rientrare, abbiamo trovato una fossa comune. I corpi erano ammucchiati uno sopra l’altro. Alcuni erano stati seppelliti dai bulldozer. Non riesco a dimenticare quella scena”.
Secondo Human Rights Watch, la distruzione degli ospedali Al-Shifa, Nasser e Kamal Adwan ha seguito uno schema coerente – raid, evacuazioni forzate, negazione di forniture salvavita e raso al suolo degli edifici – che secondo Hrw indica un attacco deliberato alle infrastrutture mediche di Gaza. L’Onu ha descritto la condotta dell’Idf come “medicidio”.
Nonostante la distruzione, gli sforzi umanitari sul campo hanno registrato un’impennata: silenziosi, improvvisati e spesso pericolosi. Volontari, ingegneri, personale medico locale e Ong hanno assunto compiti un tempo riservati a istituzioni pienamente funzionanti: rimuovere i detriti a mano, ricollegare le linee elettriche interrotte, recuperare attrezzature dalle macerie dell’ospedale, costruire in modo creativo letti ospedalieri e tentare di riportare la funzionalità di base in alcune parti del complesso.
L’edificio del reparto maternità, ora parzialmente restaurato, è diventato un esempio non di ripresa, ma di determinazione, un piccolo segno di ciò che i palestinesi sperano di ricostruire se ne avranno i mezzi.
Dopo il primo cessate il fuoco nel gennaio 2024, sono iniziati immediatamente gli sforzi per ripristinare i danni infrastrutturali e riavviare le operazioni all’ospedale Al-Shifa. Tra i gruppi che facilitano la ricostruzione figurano il governo malese, l’organizzazione britannica senza scopo di lucro SKT Welfare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e Gift of the Givers, un’organizzazione umanitaria fondata in Sudafrica nel 1992.
Malik Abou Rageila, rappresentante per il Medio Oriente della Ong, con sede in Sudafrica, afferma che le osservazioni sul campo, la documentazione fotografica e le consultazioni con ingegneri e personale medico nella Striscia dipingono un quadro molto diverso dalla disinformazione sui social media.
“Tutti i medici e gli operatori sanitari con cui abbiamo parlato, sia quelli che fanno parte di una delegazione medica sia quelli che hanno lavorato a Gaza, hanno confermato che gli edifici dell’ospedale sono stati gravemente danneggiati. La distruzione è stata grave e ingiustificabile”, dice Abou Rageila a Haaretz. “Ci siamo concentrati su un unico edificio perché le nostre precedenti strutture mediche erano insufficienti per i casi gravi che richiedevano interventi chirurgici o trattamenti complessi. Il collasso delle infrastrutture nel settore sanitario di Gaza ha reso questo progetto unico”.
L’organizzazione mirava non solo a ripristinare i servizi medici, ma anche a sostenere l’economia locale. Attraverso i loro programmi, hanno fornito opportunità di lavoro ai residenti colpiti dalla guerra. Gift of the Givers ha collaborato con una manciata di organizzazioni per ripristinare un piano dell’ospedale. Il costo totale del progetto è stato di 1,5 milioni di dollari, con un contributo di 300.000 dollari da parte di Gift of the Givers.
Abou Rageila sottolinea che il termine “riabilitazione” deve essere inteso con attenzione. “L’edificio è ora utilizzabile per accogliere i pazienti, ma richiede ancora lavori significativi. Manca l’energia solare, le attrezzature mediche essenziali e i materiali di consumo. La maggior parte dei dispositivi attualmente in uso sono stati recuperati da ospedali distrutti in precedenza durante la guerra. Abbiamo pulito e riparato le pareti, chiuso le falle causate dai danni delle bombe e coordinato le operazioni per rendere lo spazio funzionale, ma Al-Shifa è ben lungi dall’essere pienamente operativo”.
Si conclude così il reportage di Nagham Zbeedat. Una luce nelle tenebre mediatiche ingegnate da quanti, anche in Italia, continuano a difendere l’indifendibile, a negare l’evidenza. Complici, più o meno consapevoli, del genocidio di Gaza.
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