Il tornado e il crollo del tendone, poi il buio: «Senz’aria e immobile, ho sfiorato la morte»
Enrico Rustichelli era nella tensostruttura del Lillatro quando è stata travolta dalla tromba d’aria. Adesso sta meglio e parla di quella notte
ROSIGNANO. Il ticchettìo del tocco di racchetta. Il sibilo della pallina che sferza l’aria, stordita dalle luci del campo. Un secondo. Forse meno. La forza fiammante del vento. Un boato. Poi il buio. E tutto cade, «come se il mondo intorno fosse un castello di carta». La notte di quel maledetto 25 settembre Enrico Rustichelli era sotto il tendone dei Canottieri. Giocava a tennis con il suo allievo. Uno scambio dopo l’altro, una partita dopo l’altra. Poi la tromba d’aria ha spazzato via tutto. E ad illuminare la notte sono rimaste le sirene delle ambulanze. Una dopo l’altra, minuto dopo minuto. Lampi verso il mare. Rustichelli si ricorda di aver perso conoscenza solo dopo che il portellone del mezzo di soccorso si è chiuso dietro di lui. «Adesso sto meglio - racconta - sto facendo riabilitazione a Volterra, ma è stato terribile».
Terribile riuscire appena a respirare, intrappolato sotto una trave di legno troppo pesante per essere spostata. Terribile non riuscire più a muoversi, chino in un antro buio col freddo respiro della notte accanto. «E poi, quella sensazione di impotenza. È stato tutto molto veloce e tutto si muoveva verso l’alto...Poi, ad un certo punto, mi sono detto: “Ce la devo fare”». È stato a quel punto che ha chiesto aiuto. «Claudio Carli (un’altra delle quattro persone rimaste intrappolate sotto il tendone dei Canottieri ndr) è riuscito a spostare la trave quel tanto per permettermi di uscire. Sono sgusciato da sotto. Claudio mi ha salvato». Rustichelli dice di essere rimasto cosciente per tutto il tempo. «Fino a che sono salito sull’ambulanza. Poi sono svenuto. Mia moglie mi ha detto che sono stato per una settimana in coma farmacologico (nel reparto di Rianimazione di Livorno ndr). Avevo una quindicina di fratture. Sono arrivato all’ospedale di Volterra il 14 ottobre e adesso sto facendo riabilitazione. Voglio cogliere l’occasione per dire che il centro è un’eccellenza, sotto tutti i punti di vista. Qui ho trovato grande professionalità e umanità». A Volterra Rustichelli sta lentamente recuperando. «Cammino da solo e sono autosufficiente - dice - La cosa più difficile è accettare i tempi del corpo. Perché va ad una velocità molto più diversa rispetto a quella che vorrebbe la mente».
E adesso, con l’emergenza coronavirus, la maggior parte delle comunicazioni dal centro di Volterra verso l’esterno avvengono tramite telefonata o videochiamata. «Ciò che mi manca di più è poter abbracciare la mia famiglia - afferma Rustichelli - Poi, certo, vorrei anche riuscire a tornare a giocare a tennis». Lui da mestiere fa l’insegnante, il maestro di uno sport che per chi lo ama diventa parte della vita. E nel raccontare la sua storia Rustichelli si commuove solo una volta: quando parla dei suoi allievi. «Spero di essere riuscito a trasmettere loro il valore e la bellezza del tennis - dice - Il maestro non è solo una persona che dà indicazioni, ma è soprattutto qualcuno che cerca di far emergere le qualità dei propri allievi. È un tecnico e un educatore, ma ha anche una funzione sociale. Spero davvero di essere riuscito a trasmettere tutto questo. Poi, certo, è chiaro che spero di tornare a giocare a tennis il prima possibile, perché la mia mente vorrebbe fare le cose di una volta». Un passo alla volta. Una partita alla volta. Il ritorno alla vita è un percorso lento. «Ricordo tutto di quella notte - dice - E sto cercando di rielaborarlo». Per questo Rustichelli pian piano sta sviscerando tutte le sensazioni legate a quel maledetto 25 settembre. La furia del tornado. E il campo coperto che cade come un castello di carta, troppo veloce per poter fuggire. Ma adesso il soffio del vento è un po’ meno forte. E la luce riesce a filtrare attraverso il buio della notte.