Addio a Gigi Simoni, un signore che metteva l’amore nel pallone

Giocatore, allenatore e dirigente, aveva 81 anni: si è spento a Pisa. È il tecnico del record di promozioni, ha vinto una Coppa Uefa con l’Inter 

Quella fra Gigi Simoni e il pallone è stata una grande storia d’amore. Gigi se n’è andato ieri, in punta di piedi, nel giorno più dolce per gli interisti, quelli che gli hanno voluto un bene dell’anima: il giorno del decimo anniversario di quel Triplete che in qualche modo è stato anche suo. Sì, anche suo, nonostante fosse lontano dal tempo in cui le Ingiustizie nel pallone lo avevano privato di qualcosa di ancora più bello della Coppa Uefa vinta a Parigi contro la Lazio nel 1998: lo scudetto.

Simoni, 81 anni, dallo scorso 22 giugno era alle prese con le pesantissime conseguenze di un ictus. È stato, anzi è, perché si fa davvero fatica a parlarne al passato, un signore, uno molto perbene in tutte le fasi di un’esistenza andata a braccetto con il pallone. Da calciatore, da allenatore e da dirigente.

C’è un’immagine, una scena, che testimonia più di ogni altra quel che ha saputo seminare lungo un cammino sempre a viso aperto, con schiettezza, sincerità e puro spirito di lealtà. È il 2 ottobre 1999, un sabato. Gigi Simoni è l’allenatore del Piacenza e per la prima volta torna a San Siro da avversario. Non c’è niente di organizzato ma quando entra in campo i settantamila sugli spalti si alzano in piedi, cominciano ad applaudire e non si fermano che dopo qualche minuto. Lui si commuove e cerca di non darlo a vedere ma cose come queste da sole valgono più di ogni successo.

E di successi Gigi ne ha avuti tanti, anche se non sono quelli che contano di più, perché è anche nel momento delle sconfitte, di quelle più ingiuste, che si è visto il valore dell’uomo. Di lui si ricorda quel labiale del 1998, quel «Si vergogni!» ripetuto all’arbitro livornese Piero Ceccarini nel famoso Juventus-Inter del clamoroso fallo di Iuliano su Ronaldo visto dal mondo intero ma non dal direttore di gara. Simoni, vinta la Coppa Uefa, resta ancora per un’altra stagione, quella dell’arrivo di Roberto Baggio. Ma non la finisce, perché il presidente Massimo Moratti lo esonera dopo una bella vittoria contro il Real Madrid nel giorno in cui a Coverciano gli consegnano la panchina d’oro come miglior allenatore della stagione precedente. Nonostante questo, per Moratti ha sempre parole dolci, come quelle di un recente compleanno: «Ha riconosciuto di avere sbagliato e ora abbiamo un ottimo rapporto. È davvero una persona splendida».

Oltre l’agrodolce in nerazzurro, Gigi è anche altro. Ad esempio ha amato molto il Torino: «Ho giocato con Meroni, ci chiamavano “i Luigi d’oro”». E proprio di Meroni fu l’alternativa nella cessione alla Juventus, che voleva l’altro e alla fine prese lui per farlo giocare appena undici volte. Da calciatore è comunque legato a mezza Italia, agli esordi di Mantova (95 presenze e 18 gol), al Napoli, al Brescia, al Genoa. E proprio sotto la Lanterna (altro luogo del cuore) ha cominciato un cammino da allenatore che gli ha regalato il record di promozioni, ben dieci. Sette in A (due con Genoa e Pisa, poi Brescia, Ancona e Cremonese), una in B (Gubbio) e due in C1 con Carrarese e ancora Gubbio. Nella lista delle squadre allenate c’è mezza Serie A con tanta B, un po’ di C e una parentesi in Bulgaria.

Ma è la Cremonese, insieme con l’Inter, la squadra che sente più sua, al punto da diventarne direttore tecnico e presidente. E c’è anche una pagina meno nota ma estremamente rappresentativa di Simoni ambientata in Umbria, quando dal 2009 al 2012 al Gubbio è un po’ allenatore e un po’ direttore sportivo. E lì accade che uno dei suoi, Simone Farina, denunci un tentativo di combine. Raro esempio in un mondo omertoso. E anche questo non è per caso.

Così come non è per caso quel che accade alla presentazione di un libro a lui dedicato, “Simoni si nasce”, scritto da Luca Carmignani, Luca Tronchetti e Rudi Ghedini. Siamo a Milano nel novembre 2016 e a un certo punto arrivano, senza essersi dati appuntamento, uno dopo l’altro tutti quelli della sua Inter. Perché in fondo, uno così da ogni posto dove è stato, di fatto non è mai andato via. Così come non potrà mai andare via dai cuori di sostenitori e avversari, che ieri riempivano i social con parole rispettose e ricche di quell’affetto sentito, che va oltre il cordoglio.

E se vincere non è facile e farsi stimare da tutti è quasi impossibile, Gigi è riuscito benissimo anche a portare l’amore dentro il pallone. In fondo, proprio l’unica cosa che conta. —

twitter: @s_tamburini

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