Come scegliere le farine: mini guida pratica
Può essere di grano tenero o duro, ma anche di mais, di castagne o legumi, sglutinata o pre-dosata col lievito in appositi mix. Se tutti sanno cos’è e a cosa serve, la farina, non tutti sono capaci di differenziarla in base agli usi e ai tipi.
In commercio ne esistono molteplici, e conoscerli è fondamentale per orientare il carrello (ed il ricettario): ricavate dalla macinazione di cereali o di altri alimenti (come i legumi o la frutta secca) le farine si differenziano per valori come la granulometria, cioè dimensione dei “granelli” (almeno nel caso di quelle di grano duro) e i contenuti nutrizionali (amido, proteine, minerali, fibre), ma anche per la colorazione (spaziante dal bianco della farina “00” al giallo-ambrato delle farine multicereali o di semola) e la forza (ossia la capacità di assorbire acqua e sviluppare glutine).
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Le mani in pastaFra quelle più diffuse in Italia – ottenute da processi di macinazione e “abburattamento” (cioè setacciatura) del frumento – si distinguono la farina di grano tenero, più raffinata e amidacea, e quella di grano duro o semola, dalla grana più grezza e granulosa.
Simili strutturalmente, sono diversissime dal punto di vista nutrizionale e degli impieghi in cucina: la farina di grano tenero, che è la classica “farina bianca” ricavata da granuli piccoli e tondeggianti, è usata nella panificazione e per la produzione di lievitati da forno, dalle pizze ai prodotti dolciari (come torte e brioche), ma anche per la pasta fresca e la pasta all’uovo, garantendo impasti dalla buona estensibilità.
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Come fare (e far vivere) il lievito madre a casaAl suo interno si distinguono varie tipologie: la prima e più diffusa, da noi, è la farina “00”, la più raffinata e setacciata, contenente solo la parte interna del chicco e privata della maggior parte dei principi nutritivi, cui fanno seguito le farine “0”, “1” e “2”, con percentuali progressivamente maggiori di crusca, fino a quella “integrale”, la meno setacciata, ottenuta macinando integralmente il frumento.
La farina di grano duro o semola, invece, ha una grana grossolana e un’ estendibilità minore, che la rende perfetta per certi tipi di pane (come quello di Altamura) e per la produzione di pasta secca. Contenendo più proteine e glutine rispetto a quella di grano tenero, questa farina ha una maggiore capacità di assorbimento dell’acqua e garantisce una conservazione migliore dei prodotti ed un minore indice glicemico.
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5 ricette (dolci e salate) per fare il pane in casaMa facciamo un passo indietro, ripassando la composizione del chicco di frumento (da cui le farine elencate hanno origine): la parte esterna e più scura è conosciuta come “crusca”, un insieme di strati che avvolgono il seme e – contenendo fibre vegetali, proteine, sali minerali e vitamine – sono ricchi di sostanze nutritive per l’organismo; la parte centrale, invece, detta “endosperma”, è la più bianca perché prevalentemente costituita da amido, mentre alla base del chicco c’è il “germe di grano“, che rappresenta l’embrione della nuova pianta ed è ricco di vitamine, sali minerali e proteine.
Le farine prese in esame possono essere fatte con una sola delle tre parti del chicco, oppure due o tutte e tre, ed essere macinate “a cilindri” o “a pietra”: nel primo caso, il chicco di grano viene polverizzato attraverso il passaggio in appositi laminatoi, nel secondo per mezzo di uno schiacciamento del chicco a pietra. Quest’ultima è la tecnica più antica, per una farina che preserva tutte le parti del chicco.
C’è poi un altro dato a caratterizzare le farine e determinarne la diversità d’uso: è l’indicazione della “forza“, simboleggiata dalla lettera W in confezione. Essa rappresenta la capacità della farina di assorbire un’elevata percentuale di acqua durante l’impastamento e di sviluppare glutine nel corso della lievitazione. Maggiore è la quantità di proteine presenti nella farina, maggiore è lo sviluppo glutinico.
Gli impasti preparati con farine forti sopportano bene le lunghe fermentazioni e garantiscono prodotti alti e alveolati, come nel caso di croissant e pan brioche, pandori e panettoni. Per contro, gli impasti ottenuti da farine deboli assorbono poca acqua e formano una “maglia glutinica” debole, dalla bassa tenuta, per questo sono impiegati comunemente per la produzione di torte e biscotti friabili.
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Antipasti di pesce: 5 ricette per fare bella figuraSchematizzando: una farina debole va da 90 a 180 W (ed è l’ideale per biscotti, panini veloci, grissini, cialde, creakers); una farina di forza media spazia fra 180 e 250 W (e si usa per fare focacce, pizze tonde, pane); una farina forte viaggia fra 250 e 350 W, reggendo anche lievitazioni di 48 ore (ed è perfetta per pizze con lievito madre, croissant, prodotti di pasticceria); infine, una farina molto forte supera i 350 W ed è adatta alla preparazione di babà, colombe, pandori, panettoni e impasti con molti zuccheri e grassi.
Ma come capire la forza di una farina se l’indicazione (W) non è esplicitata in confezione? Il solo metodo – approssimativo ma sempre valido – è quello di affidarsi alla tabella nutrizionale (obbligatoriamente presente sul pacchetto), adocchiando il numero di proteine:
- 8-9% di proteine = farina debole
- 10-12%di proteine = farina media
- 13-14%di proteine = farina forte
- 14,5% di proteine = farina molto forte
Ripassate le caratteristiche di base delle farine, non resta che conoscerle singolarmente: fate click sulla gallery in alto per una ricognizione (quasi) completa dei tipi in commercio, da quelli di uso comune, ricavati da chicchi di grano tenero o duro, alle farine di mais, di cocco, di kamut o d’orzo.